Chavez, Bush e gli utili idioti
Vargas Llosa, Mendoza e Montaner pubblicarono dieci anni fa un famoso libro, "Il manuale del perfetto idiota latino-americano", nel quale difendevano le idee liberali e accusavano la “destra incolta” e “la sinistra sciocca” di non capire che il progresso economico e civile richiedeva inscindibilmente la contemporanea presenza della libertà politica e di quella economica. In questi giorni gli stessi autori hanno pubblicato Il ritorno dell’idiota, nel quale viene esaminato il ritorno, appunto, di una sinistra militante, con Chavez che vorrebbe prendere il posto del morente Fidel Castro. Ma il libro spiega, in stile schematico, la presenza attualmente di due tipi di sinistra, chiamate in America Latina “vegetariana” la nuova e “carnivora” quella classica.
Vegetariani e carnivori
Nel gruppo dei vegetariani troviamo i cileni Lagos e Bachelet, il brasiliano Lula, l’uruguaiano Vasquez, il peruviano Garcia e il nicaraguense Ortega, l’ex-comunista che ora, osservano maliziosamente gli autori, abbraccia il suo antico nemico, cardinale Obango, prendendo l’ostia consacrata direttamente dalle sue mani. Costoro ritengono che il modello di socialismo latino-americano classico, dittatura politica ed economia di Stato, mantiene la popolazione nel sottosviluppo e nella miseria.
I “carnivori”, ancora legati a ricette di statalismo, sono innanzitutto Chavez, forse Correa appena eletto in Ecuador, e poi Morales. Quest’ultimo costituirebbe un caso a parte, quello della sottospecie ”indigena” che predica la liberalizzazione dei quechua e aymara dai 500 anni di razzismo bianco. Il che per gli altri paesi con i medesimi indigeni non ha senso perché in Bolivia, Perù, Ecuador, Guatemala e Messico la popolazione è meticcia, indios e bianchi puri sono ormai minoranze. Inclassificabile, infine, sarebbe il Presidente argentino, Kirchner.
Varga Llosa è uno scrittore di grande valore nel panorama letterario latino-americano, che gioca il ruolo politico ricoperto nella cultura francese da Raymond Aron. E’ stato occasionalmente anche un politico, nel 1990 si presentò e perse le elezioni presidenziali in Perù contro Fujimori. La sua critica è però di parte, quella su Hugo Chavez particolarmente feroce. In effetti il vero pericolo rappresentato da Chavez in Venezuela non deriva dalle sue confuse idee e contraddittorie azioni in campo economico, ma consiste nella sua costante marcia verso la creazione di uno Stato autoritario. Per quanto riguarda però l’America Latina in generale e la egemonia Usa in particolare, molto è fiammeggiante retorica e poca la sua capacità di azione.
Dopo la vittoria nelle elezioni di dicembre, 63% dei voti, il Parlamento gli ha concesso il diritto di legiferare per decreto nei prossimi 18 mesi. La Banca Centrale ed il Fondo per lo Sviluppo Nazionale dovrebbero perdere completamente la loro autonomia e la disponibilità dei loro ragguardevoli fondi. Inoltre è in preparazione una Costituzione che dovrebbe affermare la natura “socialista” dello Stato venezuelano e permettere al Presidente, tra l’altro, di farsi rieleggere indefinitamente. Infine il piatto forte nel discorso presidenziale di insediamento è stato l’annuncio della nazionalizzazione dell’industria elettrica e delle telecomunicazioni, società con capitali americani. Ma gli espropriati dovrebbero essere rimborsati e molti dei mali sociali che egli vuole affrontare sono reali. Comunque tutti sanno che la fortuna politica di Chavez e la sua influenza nella regione è legata all’aumento straordinario della rendita petrolifera del paese. Questo è dunque il dato da analizzare.
Rispetto all’Iran, il Venezuela ha infrastrutture meno precarie e una situazione economico-sociale difficile ma non della stessa gravità del paese mediorientale. Tuttavia anche in Venezuela la metà delle entrate dello Stato dipendono dal petrolio. Da quando Chavez arrivò al potere nel 1999, il prezzo del petrolio è aumentato sei volte e anche l’aumento della produzione è stato notevole. Ma adesso si prevede un marcato rallentamento di questo aumento, mentre il prezzo stesso del petrolio è recentemente calato. Il budget dello Stato venezuelano registra regolarmente dei deficit e le previsioni per il 2007 si basano su un disavanzo del 3%. Ma si riferiscono a una produzione di petrolio stimata a 3,4 milioni di barile al giorno, giudicata irrealistica dalla stessa OPEC, che indica invece una cifra di 2,5 milioni di barili. Forse anche con il semplice mantenimento del prezzo del petrolio registrato nel 2006 il Presidente venezuelano avrà delle difficoltà a mantenere le promesse elettorali e la politica di aiuti ai paesi della regione. Da qui l’annuncio, per la prima volta nella sua storia politica, di un prossimo aumento del prezzo del petrolio in vendita nel paese. Segnaliamo che sino a metà 2006, nel corso dell’attuale mandato di Chavez il valore reale degli stipendi in Venezuela si era ridotto del 25%. I venezuelani, infine, hanno sì votato massicciamente per Chavez nelle ultime elezioni, ma curiosamente un sondaggio ha rilevato che solo un quarto di loro si considera schierato a sinistra.
Gli schieramenti politici regionali
Comunque non sono i 100.000 barili di petrolio all’anno inviati a Cuba, praticamente donati, né la costruzione di 200.000 case promesse al Nicaragua o il miliardo di dollari prestati all’Ecuador che possono cambiare il quadro politico degli altri paesi della regione, di gran lunghi più importanti e più prudentemente realisti in economia. A parte la Colombia che sta faticosamente uscendo da situazioni di guerriglia, gli altri paesi latino-americani mantengono una immagine “di sinistra”, in fondo inevitabile in un continente dove circa 145 milioni di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno. Tuttavia, sia pur cercando di intervenire nei casi più estremi di povertà ed emarginazione sociale, i governi etichettati come “socialisti vegetariani” cercano di mantenere i conti macroeconomici in ordine, facilitati dall’aumento dei prezzi delle materie prime di cui sono produttori.
Sono così tre anni che nella regione si registra uno sviluppo economico medio del 4,5%. Parallelamente l’organizzazione cilena, Latinobarometro, che effettua regolari sondaggi di opinioni in 18 paesi latino-americani, ha rilevato nel 2006 un aumento di coloro che considerano la democrazia il migliore sistema di governo. Attualmente sono il 58%.
Lo stesso sondaggio segnala che in grande maggioranza essi non amano il Presidente Bush ed il Presidente Chavez, più o meno in eguale misura. Questo porta alla questione del rapporto dei paesi latino-americani con gli Stati Uniti. A livello popolare i sentimenti ostili agli americani del nord sono una costante storica in quel continente. Sul piano governativo il quadro è variato in relazione a questo aspetto. Ma, certo, anche i paesi socialisti moderati si allontanano dalle posizioni nord-americane in politica estera, fenomeno sostanziato nel rifiuto o accettazione solo parziale degli accordi commerciali proposti da Washington. Gli Stati Uniti, da parte loro, non esistendo più pericoli di fondo di un loro passaggio ad alleanze politiche con poderosi governi ostili o di adozione di ideologie estremiste, reagiscono alle azioni o intemperanze verbali “anti-gringos” con una moderazione non usuale nella politica dell’attuale governo nord-americano.
Carlo Calia (carlo.calia@fastwebnet.it) è stato ambasciatore in Costa d'Avorio, Libano e Kenia.
Pubblicato su Affari Internazionali.IT
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