giovedì 26 aprile 2007

Un nuovo farmaco per combattere diversi difetti genetici

Un nuovo farmaco sintetizzato per colpire in maniera mirata uno specifico difetto genetico , è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori americani e sperimentato su modello animale affetto da Distrofia Muscolare di Duchenne (DMD), ripristinando (nel topo) la funzione muscolare.

Si tratta, come riferiscono su Nature di domani gli autori della ricerca, condotta da H. Lee Sweeney, University of Pennsylvania School of Medicine con la collaborazione del PTC Therapeutics Inc. e la Massachusetts University School of Medicine - di una nuova classe di farmaci che, potenzialmente, potrebbero aiutare un largo numero di pazienti affetti da malattie genetiche diverse tra di loro, ma che hanno in comune lo stesso tipo di mutazione.

Secondo i ricercatori, uno stesso difetto genetico può causare dal 5 al 15%, e in qualche raro caso fino al 70%, di casi individuali di malattie ereditarie più frequenti, tra queste la DMD, la fibrosi cistica e l’emofilia.

Nel caso della Distrofia Muscolare di Duchenne a non funzionare è una proteina chiamata distrofina, quella che aiuta a mantenere le cellule muscolari sane. Quando manca la distrofina, per il 15% dei casi si tratta di un difetto causato da una mutazione genetica, a farne le spese sono i muscoli volontari, ma anche i muscoli della respirazione e il cuore.

La nuova molecola, sintetizzata da South Plainfield, NJ-biotech e chiamata PTC124, sembra funzionare contro la DMD e agisce legandosi al ribosoma, un componente della cellula, dove il messaggio del codice genetico viene tradotto, aminoacido dopo aminoacido in una proteina.

Durante la sperimentazione su modello animale DMD, gli scienziati hanno potuto constatare che la nuova molecola, attaccandosi al ribosoma di tutte le cellule , annulla la mutazione del gene distrofina (che interrompe la produzione della proteina) e, permettendo al ribosoma di superare il difetto, che induce la formazione di una proteina incompleta, dà il via alla produzione della distrofina completa e perfettamente funzionale.

Il farmaco, nello specifico, ha indotto la produzione di una quantità tale di distrofina da correggere il difetto accumulatosi nei muscoli del topo e nello stesso tempo, regolando l’attività del ribosoma, gli ha permesso di leggere correttamente i segnali di stop contenuti nel codice genetico per esprimere le proteine necessarie.

Il farmaco, dicono i ricercatori, ha dunque permesso la corretta «costruzione» della proteina nelle cellule e la loro localizzazione sulla membrana cellulare , inducendo nel topo il risanamento della funzione muscolare .

«Nei muscoli del topo si era accumulata così tanta distrofina - ha spiegato Sweeney alla fine della sperimentazione - che non abbiamo più trovato i »difetti« tipici della DMD. Questo vuol dire che la malattia era stata corretta con PTC124».

Fonte: La Stampa.it

Alba e Barrymore le più sexy al mondo

La protagonista della serie Tv«Dark Angel» e la «Charlie's Angel» si aggiudicano il titolo, ma su due diverse riviste.

Hanno entrambe un corpo mozzafiato e sono tra le più famose attrici di Hollywood. Adesso Jessica Alba e Drew Barrymore hanno un altro fattore che le accomuna: le due attrici americane sono state votate le donne più sexy e belle del mondo in due diverse, ma prestigiose classifiche. La prima è stata stilata dal magazine inglese FHM, la seconda invece è stata redatta dalla rivista americana People

CLASSIFICA FHM - FHM ogni anno propone un sondaggio tra i suoi lettori per eleggere la donna più sexy del mondo. Jessica Alba è risultata vincitrice superando la modella inglese Keeley Hazell e la «casalinga disperata» Eva Longoria. Nella top ten troviamo in successione la modella brasiliana Adriana Lima, le splendide attrici Scarlett Johansson e Hayden Panettiere e la cantante Cheryl Tweedy. Chiudono la top ten la compagna di Brad Pitt Angelina Jolie, la modella australiana Emily Scott e l'attrice Elisha Cuthbert. Solo dodicesima Keira Knightley, vincitrice della classifica della passata edizione
CLASSIFICA PEOPLE - Nel suo numero annuale dedicato ai campioni della bellezza femminile e maschile, People ha eletto la trentaduenne attrice americana Drew Barrymore la donna più bella del pianeta, mentre conferma l'attore Patrick Dempsey come l'uomo più bello del mondo. Dempsey si posiziona primo davanti all'attore Matthew McConaughey che aveva vinto questa classifica nel 2005 e a Eric Bana, interprete del film «Munich» di Steven Spielberg. La rivista non ha fatto sapere i criteri che hanno ispirato le sue scelte, ma nella top ten troviamo nomi di personaggi molto noti come Scarlett Johansson, Jennifer Aniston, Halle Berry e la sessantunenne Helen Mirren, l'attrice che ha intepretato la regina Elisabetta nel film inglese «The Queen»
ESCLUSI - Naturalmente non mancano le esclusioni eccellenti: nelle due classifiche non compaiono i nomi di Kate Moss, Paris Hilton e Britney Spears, mentre altre famose attrici come Sienna Miller si posizionano ai margini della classifica.

PERCHÉ JESSICA- Ecco come Chris Bell, editore di FHM ha commentato la vittoria di Jessica Alba nella classifica redatta dalla sua rivista: «E' un'attrice piena di talento e bellissima che riesce a trasmettere ovunque il suo sex appeal. Jessica proprio questa settimana festeggerà il suo compleanno come la donna più sexy del mondo. Nessuno può immaginare un miglior regalo per un'attrice»

Abn Amro, Wsj: ''Barclays indagata per insider trading''

New York - La Securities and Exchange Commission, l'organo di controllo della borsa Usa, ha avviato un'indagine sulla divisione statunitense di Barclays per insider trading. Lo rende noto il 'Wall Street Journal'. A quanto scrive il quotidiano finanziario Usa, la Sec e la procura di New York starebbero indagando su presunte malversazioni compiute dagli operatori di Barclays Capital. Secondo le accuse gli operatori, il cui compito era quello di studiare il livello di rischio delle compagnie quotate, avrebbero speculato facendo affidamento su informazioni riservate. A far partire l'inchiesta, scrive il Wsj, sarebbe stato Michael Econn, un ex analista in forze al 'debt trading desk' di Barclays Capital, licenziato il mese scorso.

Oggi l'amministratore delegato di Barclays, John Varley, parlando per la prima volta da quando è stata resa nota la controfferta di Royal Bank of Scotland, ha detto che grazie all'acquisto di Abn Amro sarà accelerata ''l'espansione internazionale ed eviteremo lo spezzatino" per la banca olandese. Poi l'attacco a Rbs: per Varley il consorzio intende perseguire la distruzione di Abn. "Quello che Barclays offre è in netto contrasto con quello che offre il consorzio: da una parte c'è la decisione presa dai board di Barclays e Abn per costruire attraverso la fusione una delle migliori banche del mondo e dall'altra lo spacchettamento in molte parti di una delle più grandi banche europee".

Il consorzio capitanato da Royal Bank of Scotland, rende noto la stessa Rbs, ha ricevuto il 'confidentiality pack', l'accordo di segretezza richiesto da Abn Amro per avere diritto alla 'due diligence'. Royal Bank aggiunge che Abn ha chiesto alle tre banche di non presentare un'offerta di scalata entro i prossimi 12 mesi senza l'autorizzazione scritta dell'istituto olandese. Le banche però hanno chiesto di rimuovere questa clausola. Secondo gli analisti, la decisione di Abn Amro di utilizzare la clausola nel 'confidentiality pack' potrebbe essere una tattica di ritardo per ostacolare il consorzio capitanato da Rbs. Secondo i risultati comunicati oggi, nel primo trimestre 2007 l'istituto olandese ha conseguito un utile netto pari a 1,225 miliardi di euro, in crescita del 25,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Abn Amro varrebbe da sola 27 euro per azione, stando a quanto sottolineato dall'amministratore delegato Rijkman Groenink, mentre scorporata tra i 34 e i 36 euro per azione.

Fonte: Yahoo Notizie

Un pianeta "gemello" per la Terra. Dista 20 anni luce e ha un clima mite.

Le dimensioni superano di poco quelle della Terra. La temperatura è di tutto comfort: tra zero e 40 gradi. La superficie è rocciosa, a differenza dei grandi pianeti gassosi in cui un essere vivente sarebbe costretto a galleggiare fra i miasmi. Il Sole sorge e tramonta regolarmente, e un anno dura solo 13 giorni. Tutte le condizioni fanno pensare alla presenza di acqua allo stato liquido e quindi, potenzialmente, della vita.

Il pianeta più simile alla Terra, fra quelli scovati finora nelle profondità dell'universo, si trova in realtà dietro l'angolo, astronomicamente parlando. Guardando nella costellazione della Bilancia, a soli 20,5 anni luce da noi, l'European Southern Observatory di La Silla, in Cile, ha individuato tre pianeti che orbitano intorno a una piccola stella, esattamente come la Terra fa intorno al Sole. Fra questi tre pianeti, il più piccolo e il più interno ha tutte le caratteristiche per ospitare la vita. "Grazie alla sua vicinanza e alla sua temperatura - sostiene Xavier Delfosse, uno degli autori della scoperta pubblicata oggi sulla rivista Astronomy and Astrophysics - questo pianeta sarà uno dei primi obiettivi delle future missioni che partiranno alla ricerca di vita extraterrestre. Nella mappa del tesoro dell'universo, bisogna sicuramente segnarlo con una croce".

Molti degli esopianeti (pianeti che orbitano intorno a una stella diversa dal Sole) osservati finora hanno dimensioni mastodontiche. Il nuovo pianeta, con il suo raggio che è una volta e mezzo quello della Terra, è il più piccolo mai individuato. Un successo attribuito alla precisione degli strumenti dell'Eso, capaci di registrare le oscillazioni della posizione della stella causate dal campo gravitazionale del pianeta. Lo strumento utilizzato (che si chiama Harps, High Accuracy Radial Velocity for Planetary Searcher) è in grado di rilevare a 20 anni luce da qui variazioni di velocità di un corpo celeste pari a 9 chilometri all'ora: un uomo che cammina a passo svelto.

La stella attorno a cui il pianeta ruota, Gliese 581, è una nana rossa molto più debole del Sole. Emette una luce 50 volte più fioca, ed è questo che permette alla nuova potenziale culla della vita di orbitarvi così vicino (a una distanza 14 volte inferiore rispetto a quella che divide Sole e Terra) conservando temperature miti, capaci di mantenere l'acqua allo stato liquido. "Secondo i nostri modelli - sostiene Stéphane Udry dell'osservatorio di Ginevra, il primo firmatario dell'articolo scientifico - il pianeta ha una superficie rocciosa come la nostra Terra, oppure coperta da oceani".

La caccia alla vita nell'universo partì di fatto nel 1995, anno della scoperta del primo esopianeta. Era il 6 ottobre quando due astronomi dell'osservatorio di Ginevra annunciarono di aver individuato un sistema solare gemello: il pianeta 51 Pegasi-b che ruotava attorno a una stella simile al Sole. Da allora a oggi diverse centinaia di esopianeti sono stati individuati, ma tutti troppo grandi, troppo caldi, troppo freddi oppure gassosi per ipotizzare che la vita così come la conosciamo sulla Terra vi si potesse sviluppare.
Per mantenere viva la caccia, a dicembre dell'anno scorso l'Agenzia Spaziale Europea ha lanciato la sonda Corot, incaricata di osservare centinaia di migliaia di stelle nel corso di una missione di due anni. Un momentaneo affievolirsi della luminosità di una stella potrebbe voler dire che uno dei suoi pianeti le sta passando davanti, provocando un'eclissi.

E Corot sarà lì a registrare l'evento. Ancora più ambiziosa la missione Darwin, che l'Esa appronterà entro il 2020. Uno speciale telescopio catturerà la debole luce riflessa dagli esopianeti. Analizzandone lo spettro, riuscirà a determinare la composizione dell'atmosfera, e a capire che aria si respira a casa di Et.

Fonte: La Repubblica

La Moratti dopo i fischi "Viva la Resistenza"

Erano in oltre trentamila alla manifestazione del 25 aprile, ieri, in piazza Duomo. La prima alla quale ha partecipato da sindaco Letizia Moratti. Qualche fischio durante il suo discorso e momenti di tensione quando i giovani dei centri sociali hanno tentato di entrare in piazza, ma alla fine solo applausi.

Secondo il presidente della Camera Fausto Bertinotti, «la presenza del sindaco è stata una vittoria per la democrazia». E lei di rimando: «È una svolta storica per la città. Ho sentito un clima nuovo in piazza. È stato importante ricordare insieme che la libertà non è un dono, né una conquista che si ha per sempre. Con lo stesso spirito ricorderemo il 17 maggio il commissario Luigi Calabresi ucciso 35 anni fa».

Al termine della manifestazione, Letizia Moratti sembra addirittura emozionata. Ha appena concluso il suo discorso con un «Viva Milano libera, viva la Resistenza». Il clima è molto diverso dall´anno scorso, quando fu costretta dai fischi ad abbandonare il corteo insieme al padre Paolo Brichetto Arnaboldi reduce da Dachau. «Questi - ha spiegato - sono i valori in cui si ritrova tutto il nostro popolo. È stato un 25 aprile che giustamente ha ricordato chi ha pagato con la vita il prezzo della nostra libertà».

È stata «una festa di popolo» - come l´ha definita il presidente della Provincia Filippo Penati, che ha aggiunto: «Sbaglia la destra che non è qui e quella parte della sinistra radicale che continua a considerare questa una festa di parte. Bene hanno fatto i veri partigiani a invitare il sindaco Moratti e lei ad accettare». Anche la capogruppo dell´Ulivo in Comune Marilena Adamo ha apprezzato l´intervento di Letizia Moratti e per un giorno ha messo da parte l´ascia di guerra. «Il sindaco - ha commentato a caldo - ha detto delle belle cose sull´identificazione di Milano con la Resistenza. Adesso ci aspettiamo che alle parole seguano i fatti». Soddisfatto anche l´assessore allo Sport e Giovani di Forza Italia Giovanni Terzi: «È stata una giornata importantissima per Milano, una città che si ritrova unita sul valore della Resistenza su cui è fondata la nostra repubblica». Mentre il segretario lombardo di Rifondazione Comunista Alfio Nicotra precisa: «Bene il viva la Resistenza della Moratti, ma valga per tutto l´anno».

Unici momenti di tensione un breve tafferuglio in piazza San Babila tra giovani dei centri sociali e il servizio d´ordine di Rifondazione, qualche slogan nel corteo contro Fausto Bertinotti, la Brigata ebraica che è stata accolta dai fischi dell´ala dura dei centri sociali e gli striscioni dei militanti del Gramigna di Padova e del Fucina di Sesto San Giovanni, che solidarizzavano con i sindacalisti della Cgil arrestati come presunti neo brigatisti. Tutto sotto il rigido controllo di un imponente schieramento di forze dell´ordine lungo il percorso dai bastioni di Porta Venezia a piazza Duomo. Sull´episodio, il vice sindaco Riccardo De Corato ha chiesto l´intervento del ministro dell´Interno Giuliano Amato, che ha immediatamente condannato il fatto. Contestato dal centro sociale Cantiere anche il segretario cittadino dei Ds Pierfrancesco Majorino.

Per il resto, il corteo ha sfilato per le vie del centro senza problemi. C´erano molti giovani, famiglie al completo e naturalmente i reduci dei campi di sterminio. Ciascuno rappresentato come ogni anno da un cartello con il nome del lager. Tra i tanti striscioni, quello dei volontari di Emergency, che chiedevano la liberazione di Rahmatullah Hanefi.

Sul palco, tra gli altri, il numero uno della Cisl Raffaele Bonanni, il leader storico dei Comunisti italiani Armando Cossutta, il ministro alle Pari Opportunità Barbara Pollastrini, il sottosegretario Nando Dalla Chiesa, l´ex prefetto ed ex competitor della Moratti alle scorse elezioni amministrative Bruno Ferrante, ora alto commissario contro la corruzione nella Pubblica amministrazione, il leader della Uil Walter Galbusera e il segretario della Camera del Lavoro Onorio Rosati.

Fonte: L'espresso

Iraq, arrestato ex direttore di prigione Usa, dice esercito

L'ex direttore di un importante carcere militare americano a Baghdad è stato arrestato ed è sotto inchiesta con l'accusa di "aiuti al nemico".

Lo ha riferito oggi una portavoce dell'esercito Usa.

Il tenente colonnello William Steele è sotto inchiesta anche per aver avuto una relazione sconveniente con una traduttrice e con un'altra donna irachena, secondo quando ha riferito a Reuters il portavoce dell'esercito Usa, il tenente colonnello Josslyn Aberle.

Fonte: Reuters Italia

Iraq: Il Senato Usa chiede il ritiro entro marzo 2008

Dovrebbe andare al voto oggi al Senato Usa il provvedimento licendiato ieri sera dai deputati del Congresso che sfida il presidente Bush fissando una data, per quanto non vincolante, del ritiro delle truppe americane dall'Iraq.

È chiaro che il disegno di legge approvato dalla nuova maggioranza parlamentare democratica può essere aggirato dal capo della Casa Bianca. Il presidente ha già più volte annunciato che se approvata la legge, porrà il veto. E lo farà oggi stesso, in caso di approvazione anche della Camera alta, ma in termini politici i Democratici costringono il leader Repubblicano a utilizzare al massimo le sue prerogative, producendo uno strappo difficilmente componibile in termini di buoni rapporti e collaborazione bipartisan. Il presidente dovrà cancellare il disegno di legge democratico e proporne comunque uno suo sullo stesso argomento: le missioni militari statunitensi in Iraq e Afghanistan.

È chiaro il guanto di sfida che il Congresso federale americano ha lanciato il a George W. Bush e alla sua amministrazione e, ignorandone la più volte reiterata minaccia di opporre il veto presidenziale. Il disegno di legge parlamentare autorizza lo stanziamento di 124 miliardi di dollari in fondi di emergenza destinati al finanziamento delle operazioni militari in Iraq e in Afghanistan, subordinandone tuttavia la concreta elargizione alla fissazione di una scadenzario per la fine della campagna bellica irachena: più precisamente, il ritiro delle truppe statunitensi dal Paese arabo dovrà iniziare dal prossimo ottobre. Nel provvedimento viene inoltre fissata per quanto con indicativo, la data del ritiro del grosso del contingente militare entro e non oltre il 31 marzo 2008. Il testo è stato licenziato alla Camera bassa - il Congresso - con 218 voti a favore e 208 contrari, enfatizzando come non mai la spaccatura tra democratici e repubblicani che ormai divide nettamente il Parlamento di Washington, dopo la vittoria dei primi nelle elezioni di medio termine dello scorso 8 novembre, che li ha visti riconquistare la maggioranza dopo ben dodici anni.

La portavoce della Casa Bianca, Dana Perino, ha subito liquidato l'iniziativa del Congresso come un «voto per il fallimento in Iraq», attraverso l'approvazione di «una legge deludente», che «insiste su una data per la resa, lega le mani ai nostri generali e prevede spese per miliardi di dollari che non sono legate alla guerra». Il presidente, ha avvertito Perino, «porrà il veto» al testo approvato dai deputati, e adesso non vede l'ora che esso passi anche al vaglio del Senato.

A niente sembra servita l'opera di convincimento del generale David Petraeus, comandante delle truppe americane in Iraq, inviato da Bush alla vigilia del voto al Congresso per una serie di incontri a porte chiuse con i parlamentari della Camera e del Senato per convincerli a non approvare una legge con un termine per la permanenza dei soldati statunitensi in Iraq.L'argomento principale del generale è che la nuova strategia americana in Iraq, con il rafforzamento delle truppe Usa e irachene a Baghdad e altrove, è giunta solo a metà strada. Soltanto a settembre sarà possibile vedere se il piano funziona o meno. Secondo il presidente Bush è già possibile vedere segni di progresso nella capitale, con la diminuzione della violenza settaria; ma gli attentati di Al Qaida con le auto imbottite di esplosivo cercano di mascherare questa realtà proiettando una immagine di caos e di anarchia. «Date al piano una possibilità di funzionare», ha detto l'inquilino della Casa Bianca, «finora sono giunti solo metà dei rinforzi previsti».

La legge approvata dalla Camera e ora al vaglio del senato si occupa anche dello spinoso nodo dei fondi stanziati dall'amministrazione Bush per portare avanti le guerre in Iraq e in Afghanistan. Nell'ambito di uno stanziamento complessivo per le missioni militari all' estero di circa 124 miliardi di dollari, contiene clausole che prevedono una diminuzione delle truppe americane a partire dal prossimo mese di ottobre ed il rimpatrio della grande maggioranza di esse entro aprile 2008, quando i soldati americani non dovranno essere più impegnati in missioni di combattimento ma solo di addestramento delle forze di sicurezza irachene. Dopo tale scadenza i militari potranno essere impiegati solo per proteggere i cittadini americani in Iraq e per specifiche e mirate operazioni antiterrorismo.

Il presidente Bush ha spiegato che metterà il veto alla legge, dopo che sarà approvata anche dal Senato e giungerà sulla sua scrivania, perché l'introduzione di «date arbitrarie» per il rimpatrio delle truppe americane «lega le mani ai generali» e «avvantaggia il nemico». La Casa Bianca accusa di «disfattismo» la maggioranza democratica del Congresso e in particolare nel mirino della amministrazione Bush è finito il leader dei senatori democratici Harry Reid, che sostiene che la Guerra in Iraq «è ormai perduta». Reid ha cominciato negli ultimi giorni a tracciare sempre più pungenti paralleli tra la Guerra del Vietnam e quella in Iraq, e tra il presidente Lyndon B. Johnson e Bush.

Una commissione della Camera ha chiesto intanto al segretario di Stato Condoleezza Rice di testimoniare sotto giuramento al Congresso sulla vicenda del Nigergate, uno dei risvolti più torbidi degli antefatti che portarono alla decisione di avviare la guerra in Iraq e rovesciare il regime di Saddam Hussein per il timore che Baghdad fosse in possesso di armi di sterminio. Ma la Rice ha fatto sapere che non intende testimoniare avvalendosi del privilegio del potere esecutivo: «Questo è un tipo di argomento protetto da una prerogativa dell'esecutivo», specie per quanto riguarda le conversazioni tra la Rice, all'epoca dei fatto consigliere per la Sicurezza nazionale, e il presidente Bush.

Comunque, secondo un recente sondaggio per la tv Nbc -la più diffusa negli Usa - la maggioranza degli americani desidera una data di ritiro delle truppe dall'Iraq. Il 56% degli interrogati, secondo il sondaggio Nbc, si dicono d'accordo con la posizione dei democratici di fissare un calendario per il rimpatrio delle truppe dall'Iraq.

Fonte: L'Unità

Emergency lascia l'Afghanistan Kabul: «Ci pensiamo noi»

Emergency ha deciso di sospendere la sua attività in Afghanistan fintanto che non ci saranno novità o chiarimenti sul caso di Rahmatullah Hanefi, il collaboratore di Gino Strada detenuto da oltre un mese nelle carceri afghane con l’accusa di aver collaborato con i talebani nell’ambito del sequestro di Daniele Mastrogiacomo.

La Ong ha annunciato giovedì che gli ultimi volontari internazionali sono partiti da Kabul, e che gli ospedali sono stati chiusi in attesa di novità sul caso. Vauro, il vignettista che da oltre un anno si occupa della comunicazione di Emergency, ha spiegato che non si tratta di una «misura ricattatoria» nei confronti del governo di Hamid Karzai, ma della conseguenza delle sue dichiarazioni, «che hanno messo in forte crisi le condizioni di sicurezza per poter continuare a operare in Afghanistan».

Immediata la reazione del governo di Kabul, che ha deciso di subentrare a Emergency nella gestione delle sue tre strutture ospedaliere (quella di Lashkargah, nel sud del Paese, quella del Panshir e quella della capitale Kabul). Il portavoce del ministro della Sanità afghano, Abdullah Fahim, ha infatti annunciato che il governo Karzai intende provvedere all’amministrazione degli ospedali e pagare i loro 1.200 dipendenti fra medici, infermieri e personale di altro tipo. Fahim sostiene inoltre che la Ong avrebbe dovuto aspettare la conclusione dell’inchiesta su Hanefi, prima di lasciare il Paese. Il governo di Kabul sostiene anche di aver chiesto a Emergency di fare marcia indietro sulla sua decisione: «Chiediamo a Emergency di cambiare idea e di restare qui», ha dichiarato il portavoce del ministero degli esteri afghano, Sultan Ahmad Tahen.

Secondo il ministero della Sanità, «gli ospedali di Emergency in Afghanistan continuano la loro attività». Ma un medico afghano dell'ospedale di Lashkargah non conferma la sua versione, spiegando che 200 sui 235 dipendenti della struttura ospedaliera hanno smesso di lavorare, e che attualmente è rimasto nell'ospedale solo il personale addetto alla manutenzione di base e alla pulizia. «Uno dei medici italiani è arrivato a Lashkargah e ha incontrato lo staff afghano, e alla fine della riunione ha chiuso l'ospedale» ha riferito il dottor Mohammad Arshad Sharifi, che al momento dirige la struttura. «Abbiamo solo un paziente rimasto, e sarà dimesso presto», ha spiegato.

All’origine della «sofferta decisione» di Emergency ci sarebbero, secondo Vauro, le dichiarazioni del capo dei servizi di sicurezza di Kabul, Amrullah Saleh, sulla presunta collusione della Ong di Gino Strada con Al Qaeda. Dichiarazioni raccolte da Karzai per «ostacolare Emergency» e che «hanno messo a repentaglio la vita di medici, infermieri e operatori sanitari che lavorano ventiquattro ore su ventiquattro solo al servizio del popolo afghano».

Ma tra le regioni del gesto ci sarebbero anche «nuove minacce» rivolte dalla polizia locale all’Organizzazione. Secondo un altro portavoce, infatti, «mercoledì 25 aprile funzionari di polizia afghani si sono presentati all’ospedale di Kabul intimando allo staff internazionale presente, tre cittadini italiani, un belga e un cittadino elvetico, di consegnare i passaporti», consegna che è stata tuttavia rifiutata. Da ciò la constatazione dell’«impossibilità di permanenza del personale internazionale», che renderebbe gli ospedali «non in grado di offrire servizi qualitativamente adeguati alle necessità dei pazienti», poiché «non possiamo assumerci la responsabilità di ingannare feriti e malati con illusioni che determinerebbero danni».

Una responsabilità del governo afghano, dunque, ma anche di quello italiano, che, secondo Vauro, «non ha difeso una propria Ong nei modi e nelle forme più appropriate», e che «non ha difeso un suo rappresentante dall’essere arrestato, o meglio sequestrato, poiché nei confronti di Hanefi non è ancora stato formalizzato nessun capo di accusa e nell’intera vicenda non c’è la minima ombra di legalità».

In un comunicato di martedì scorso, in seguito alla notizia, non ancora confermata, che il mediatore rischierebbe addirittura una condanna a morte, Emergency aveva definito «sconcertante» la possibilità di un tale procedimento attuato senza alcuna accusa formale e senza l’assistenza di un legale, e, ancora più sconcertante, il «vedere questa eventualità presentata come una rassegnata constatazione». Per la Ong non avrebbe alcun valore l’argomento, addotto da esponenti del governo italiano, secondo cui non sarebbe possibile intervenire in questo caso, trattandosi di un cittadino afghano detenuto dalle autorità del suo Paese, poiché «erano cittadini afghani detenuti dalle autorità del loro Paese anche cinque prigionieri dei quali il governo italiano si è molto attivamente e insistentemente interessato tra il 16 e il 18 marzo, ottenendone la liberazione».

Fonet: L'Unità