Colpiti i quartieri sciiti. Al Maliki: "Entro dicembre tutte le province sotto il controllo iracheno"
Bagdad – Quella di ieri è stata una giornata di sangue a Bagdad. Cinque attentati, avvenuti in diversi quartieri sciiti ad un breve intervallo l’uno dall’altro, hanno causato la morte di almeno 170 persone e ne hanno ferite alcune centinaia, anche se il bilancio è drammaticamente destinato a restare provvisorio, perché, secondo i soccorritori, sotto le macerie degli edifici crollati ci sarebbero ancora molti corpi. Attentati che avevano come obiettivo la popolazione civile, e, infatti, la maggior parte delle vittime sono donne e bambini. “La strada è stata trasformata in una piscina di sangue”, sono state le parole del testimone di un attentato, Ahmed Hameed. Un altro testimone, citato dalla Reuters, ha dichiarato: “Ho visto decine di cadaveri . Alcune persone sono state bruciate vive all'interno di alcuni minibus dato che nessuno è stato in grado di soccorrerle dopo l'esplosione”.
Il più grave degli attentati, tutti causati dallo scoppio di alcune autobomba, è avvenuto nel mercato di Sadriya, un quartiere popolare della capitale, dove fonti della polizia parlano di “almeno 120 morti e 140 feriti”, ma anche in questo caso si tratta solo di un bilancio provvisorio. Poco prima nel quartiere di Karrada era saltato in aria un minibus carico d’esplosivo, che secondo il ministero dell’Interno avrebbe ucciso 10 persone e ne avrebbe ferite 12. Un’ora prima un kamikaze aveva guidato un’autobomba contro un posto di blocco della polizia all’ingresso del quartiere sciita di Sadr City. In questo caso, stando al bilancio fornito dalle forze di sicurezza locali, i morti sarebbero stati 30 (tra cui 5 agenti) e i feriti 45. Di 11 morti e 13 feriti è invece il bilancio dell’esplosione di un’auto posteggiata vicino ad un ospedale privato sempre nel quartiere di Karrada, mentre nella zona Risafi sono morte 4 persone e 6 sono rimaste ferite.
Nell’attentato di ieri al mercato di Sadriya hanno perso la vita anche alcuni operai che stavano lavorando alla ricostruzione di un edificio distrutto lo scorso 3 febbraio dall’esplosione di un camion-bomba che, nello stesso luogo di ieri, aveva causato la morte di 135 persone e il ferimento di altre 300, il maggior numero di vittime in una sola esplosione dall'inizio della guerra. Pochi giorni dopo era cominciata un’operazione antiterrorismo che vede la collaborazione di forze statunitensi ed irachene, per un totale di 90mila uomini, con l’obiettivo di ristabilire la sicurezza nel paese, per evitare lo scatenarsi di una vera e propria guerra civile. Se inizialmente le violenze erano diminuite, la la giornata di ieri è stata la più sanguinosa dall’adozione di queste misure.
Proprio ieri, in occasione del passaggio in mano alle autorità locali della provincia meridionale di Maysan, finora controllata dalle forze britanniche, il premier Nuri al Maliki aveva affermato, in un discorso letto dal consigliere per la sicurezza nazionale, Moaffaq al Rubei, che le autorità irachene hanno intenzione di assumere il controllo della sicurezza in tutto il paese entro la fine dell’anno. Maysan è la quarta delle 18 province irachene a tornare sotto il controllo di Bagdad dopo Al Muthanna, Dhi Qar e Najaf. Nel discorso si legge che il mese prossimo dovrebbe toccare alle tre province del Kurdistan, e inseguito a quelle di Serbala e Wassit, fino a giungere – entro dicembre – al passaggio di tutte le province in mano irachena.
Il leader radicale sciita Moqtada al Sadr continua intanto a fare pressione su al Maliki affinché fissi un calendario per il ritiro dei circa 150mila soldati statunitensi dispiegati nel paese. Per sostenere questa richiesta, lunedì sei ministri di al Sadr si sono dimessi dal governo. Il premier continua a ripetere che le truppe statunitensi lasceranno il paese quando le autorità di Bagdad saranno in grado di assumere la responsabilità della sicurezza in Iraq. Gli attentati di ieri da una parte dimostrano che le autorità sono ben lontane dall’avere il controllo della sicurezza, dall’altra potrebbero riaccendere le violenze interconfessionali e provocare una reazione da gruppi armati come quello guidato dallo stesso al Sadr, che può contare su decine di migliaia di fedeli ed è considerato da Washington l’ostacolo più grosso alla pacificazione del paese.
Fonte: La Voce d'Italia