lunedì 26 febbraio 2007

La svolta di Jackson Potrebbe convertirsi alla religione islamica


Ha fatto della trasgressione, una delle sue armi vincenti insieme alla musica. Ora sembra che Michael Jackson voglia convertirsi all’islam. Potrebbe essere questo, infatti, il destino spirituale della più discussa popstar statunitense.

A parlare delle intenzioni di Jacko, è suo fratello maggiore Jermaine, in un’intervista pubblicata dal mensile musulmano “The Muslim News”. Jermaine Jackson, che è musulmano, ha spiegato che Michael ha mostrato grande interesse per l’islam e che ha letto molto a questo riguardo. «Penso che la cosa più probabile è che si converta all’islam», ha affermato, «quando sono rientrato dalla Mecca, gli ho donato molti libri e mi ha chiesto molti chiarimenti sulla mia religione. Io gli ho risposto che è bella e pacifica. Ha letto tutto ed è stato fiero di me perché‚ ho trovato qualcosa che mi ha portato la pace e la forza interiore».

Jermaine Jackson, cinquantadue anni, si è convertito all’islam nel 1989 e vive nel Bahrein, dove lo stesso Michael Jackson si è stabilito di recente.

Pubblicato su Il Meridiano

DOCUMENTARIO DI CAMERON RIVELA TOMBA GESU', ARCHEOLOGI: RIDICOLO

Archeologi ed esponenti religiosi in Israele hanno definito ridicola la tesi del documentario prodotto dal regista premio Oscar James Cameron, secondo il quale sarebbe stata scoperta a Gerusalemme la tomba di Gesù e dei sui famigliari, incluso il figlio che avrebbe avuto con Maria Maddalena.

"La tomba perduta di Cristo" sarà mandato in onda il 4 marzo su Discovery Channel, ma ha già scatenato un'ondata di polemiche, dal momento che i suoi contenuti contraddicono i fondamenti del Cristianesimo: il fatto stesso che Gesù avesse un ossario (i sarcofaghi in pietra dove venivano raccolte le ossa circa un anno dopo la sepoltura) smentirebbe il principio della resurrezione del Cristo.

La tomba presa in analisi dal documentario è inoltre ben lontana rispetto al presunto luogo del Santo Sepolcro, identificato all'interno di Gerusalemme Vecchia e dove secondo le sacre scritture il corpo di Gesù sarebbe rimasto per tre giorni prima di risorgere. In questo luogo oggi sorge la Chiesa della Resurrezione.

"Vogliono soltanto ricavarne dei soldi" è stato il commento di Amos Kloner, il primo archeologo ad aver esaminato la tomba quando questa venne scoperta nel 1980. Aspri anche i commenti degli esponenti religiosi. "Le prove storiche, religiose e archeologiche dimostrano che il luogo dove il Cristo fu deposto è presso la Chiesa della Resurrezione", ha detto Attallah Hana, prete Greco Ortodosso di Gerusalemme.

Anche Stephen Pfann, studioso della Bibbia presso l'università di Terra Santa a Gerusalemme e intervistato nel documentario, preferisce non dare troppo peso alla scoperta. "Non credo che i Cristiani ci cadranno", ha detto, aggiungendo di non essere neppure sicuro che il nome di Gesù sia stato letto correttamente sull'incisione: "Più probabilmente si tratta del nome Hanun". Anche Kloner ha espresso dubbi sui nomi. "Si trattava di una classica tomba del ceto medio, e i nomi incisi sono tra i più comuni tra gli ebrei dell'epoca".

Pubblicato su TendenzeOnline.info

DOCUMENTARIO DISCOVERY CHANNEL RIVELA: TROVATA LA TOMBA DI GESU'

Il documentario co-prodotto dal regista premio Oscar di "Titanic" James Cameron, e diretto dal regista canadese Simcha Jacobovici rivelerebbe niente meno che la scoperta della tomba di Gesù e quella del suo presunto figlio con Maria Maddalena,

"La tomba perduta di Cristo" sarà mandato in onda il prossimo 4 marzo su Discovery Channel ma ha già scatenato un'ondata di polemiche, dal momento che i contenuti si propongono di rivoluzionare i fondamenti del cristianesimo.

Secondo il documentario, le tombe sarebbero state rinvenute in un quartiere di Gerusalemme, e un tempo contenevano i resti di Gesù di Nazareth, Maria Maddalena e Giuda, figlio di Gesù.

Pubblicato su TendenzeOnline.info

Al Qaeda voleva uccidere Blair davanti alla regina

Minacce terroristiche prima del Giubileo del 2002, rivela l'ex capo della polizia inglese Lord Stevens, che racconta: "Il premier era determinato ad andare avanti, comportamento ammirevole".

Il premier britannico Tony Blair ha sfidato le minacce di morte di Al Qaeda quando ha partecipato al Giubileo della Regina Elisabetta nel 2002.
A rivelare l'esistenza di un complotto della rete del terrore che fa capo a Osama bin Laden è stato Lord Stevens, l'allora capo di Scotland Yard, come riporta il quotidiano britannico 'Daily Telegraph'.

«C'è stata una minaccia contro il primo ministro nel periodo del Giubileo -ha detto Lord Stevens alla Bbc- Una minaccia di morte. E c'erano buone ragioni di ritenere che fosse una minaccia credibile». Nell'estate del 2002 le celebrazioni per i 50 anni di regno della sovrana prevedevano la parata e una festa sul 'Mall', alla presenza dell'intera famiglia reale.
«Naturalmente andai al numero 10 per parlare con il primo ministro delle sue apparizioni in pubblico», ha poi raccontato Lord Stevens riferendo della sua visita a Downing street per riferire a Blair dei rischi che correva.

Blair, racconta quindi Lord Stevens, «era assolutamente determinato ad andare avanti, a proseguire con le apparizioni pubbliche mi ha detto 'John, sono sicuro che farai tutto il necessario come hai sempre fatto in passatò».
Secondo l'ex capo di Scotland Yard, inoltre, hanno avuto un comportamento ammirevole sia Blair sia la moglie Cherie, anche lei informata della minaccia: tutti e due «hanno mostrato un grande coraggio personale», dice Lord Stevens.

Pubblicato su Quotidiano.net

Oscar, la notte di Scorsese

Già lo dicevo io, il favorito Martin Scorsese ha vinto l'Oscar come miglior regista.


Alla fine la notte della rivincita è arrivata.
E Martin Scorsese, commosso, non sa dire altro che: "Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie".
Non che ce ne fosse bisogno, per ottenere la consacrazione tra i grandi del cinema mondiale, ma per l'italoamericano che ha sfiorato per sette volte il prmio più ambito del cinema, il trionfo con The departed (quattro statuette, tra cui quella per il miglior film e la miglior regia) ha un sapore particolare.
Perché per Scorsese è stato il grande riscatto: "Tutti mi chiedevano quando avrei vinto un Oscar.
Me lo chiedevano in ascensore, me lo chiedeva il medico quando mi facevo le radiografie, me lo chiedevano per strada".
E, infine, rivolto al figlio di sette anni Francesco: "Ora puoi cominciare a saltare sul letto. Fai un sacco di casino in albergo". The Departed si è aggiudicato, oltre al premio per miglior film e regia, anche quelli per il montaggio e la sceneggiatura non originale. Un trionfo d'autore.

ATTORI
Tra gli altri oscar Forest Whitaker ha vinto quello come miglior attore, per L'ultimo re di Scozia mentre Helen Mirren ha accolto l'Oscar come miglior attrice per il suo ruolo in The Queen di Stephan Frears dove interpreta Elisabetta II. L'attrice che aveva già avuto due nomination è la seconda inglese a ricevere l'Oscar dopo Emma Thompson nel '93.

L'OMAGGIO A MORRICONE
Tutti in piedi al Kodak Theatre di Los Angeles, per Ennio Morricone. Mentre sugli scherm scorrevano le immagini dei più importanti film musicati dal maestro italiano e le sue note riempivano la sala, tutti i presenti gli hanno tributato un applauso così caldo e sincero che Morricone ha ceduto alla commozione.
In particolare quando ha dedicato, ringraziandola, la sua statuetta alla moglie: "Dedico questo Oscar a mia moglie Maria che mi ama tanto e che io amo". Dopo un filmato e dopo aver ricevuto la prima standing ovation della serata, Morricone si è inchinato alla platea e ringraziando l'Academy ha detto: "Devo ringraziare tutti quelli che hanno consentito di concedermelo e anche i registi che mi hanno dato la loro fiducia".
A tradurre in inglese le sue parole l'uomo che dei temi musicali di Morricone è divenuto il volto: Clint Eastwood.
In 50 anni di carriera, il compositore italiano ha musicato circa 500 tra produzioni cinematografiche e televisive. A rendergli un particolare omaggio è stata Celine Dion che ha interpretato per lui I knew I loved you, scritta per "C'era una volta in America", ultimo film di Sergio Leone.

COSTUMI ITALIANI
Ma c'è anche un'altra statuetta italiana nella notte degli Oscar. La vince Milena Canonero, per i costumi di Maria Antonietta di Sofia Coppola. La Canonero ha definito "travolgente" il lavoro fatto al fianco di Sofia Coppola. "Eravamo perennemente in corsa contro il tempo e per la qualità e la quantità: per non parlare della necessità di contenere i costi, per questo a volte è stato stressante, ma Sofia era sempre disponibile e gentile e mi ha dato moltissimi input per dare concretezza a una visione che era molto poetica. Lei mi ha molto aiutato ad andare nella giusta direzione".

OSCAR AD AL GORE
"Una scomoda verita", di Davis Guggenheim, ha vinto l'Oscar come migliore documentario. Il documentario racconta la crociata lanciata dall'ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore per ammonire l'umanità sulla minaccia catastrofica del riscaldamento del pianeta provocato dalla emissione di gas a effetto serra. La statuetta è stata ritirata dal regista Davis Guggenheim, ma Gore è salito con lui sul palco ed ha preso brevemente la parola, per la seconda volta nel corso della serata degli Oscar, lanciando un appello per trovare i mezzi e la volontà di risolvere il problema.
In precedenza, assieme all'attore Leonardo DiCaprio, Gore aveva fatto un piccolo show pro-ecologia e finto anche un annuncio ufficiale della sua discesa in campo per la corsa alla Casa Bianca nel 2008.

Pubblicato su Panorama.it

Sharon Stone regina anti-Oscar


Sharon Stone è stata la trionfatrice della ventisettesima edizione dei Golden Raspberry Awards, gli anti-Oscar che ogni anno sono assegnati alla vigilia degli Academy Awards.

'Basic Instict 2', interpretato dalla bionda star, ha fatto incetta di 'Razzies', come sono soprannominati i premi: peggior film, peggior attrice, peggior sceneggiatura e peggior sequel.

Il film, numero due della pellicola del 1992 che aveva portato la Stone al successo, ha avuto vita difficile fin dai primi momenti della sua produzione. L'inizio delle riprese era stato rimandato piu' volte a causa di problemi nella sceneggiatura e ad un certo punto, prima dell'inizio delle riprese, la Stone aveva fatto causa per 100 milioni di dollari ai produttori, perche' i continui rinvii nella realizzazione della pellicola le avevano fatto perdere altre occasioni. Alla fine il film era arrivato nelle sale, criticato dalla stampa e snobbato dal pubblico.

''Little Man'', film basato su un cartone animato di Bugs Bunny, ha ottenuto il secondo posto in questa triste classifica con tre ''Razzie'' all'attivo, peggior remake, peggior coppia d'attori (ai fratelli Shawn e Marlon Wayans) e peggior attore, premio che i due fratelli hanno vinto a pari merito. A quota due razzie e' arrivato il regista de ''Il sesto senso'' M. Night Shyamalan che per la sua ultima fatica, ''Lady in the Water'', ha vinto il lampone d'oro come peggior regista e peggiore attore non protagonista per la piccola parte che ha nel film.

L'ex bagnina di ''Baywatch'' Carmen Electra non ha fatto meglio con il premio per la peggiore attrice per ben due film: ''Date Movie'' e ''Scary Movie 4''. Il film ''RV'' con Robin Williams ha vinto la nuova categoria ''peggiore scusa per l'intrattenimento familiare''.

I ''lamponi d'oro'', anti-oscar che si celebrano alla vigilia della Notte delle Stelle, sono stati fondati ventisette anni fa John Wilson, un fanatico della settima arte con una videoteca personale di piu' di 4000 film. I membri della Golden Raspberry Foundation sono 757 ed il premio che viene assegnato (ma che difficilmente trova artisti disposti a ritirarlo) e' un lampone di plastica dorata di un costo effettivo di 4,97 dollari.

Pubblicato su Quotidiano.net

OSCAR 2007 - TUTTI I PREMI


MIGLIOR FILM: "The Departed"
MIGLIOR REGIA: Martin Scorsese "The Departed"
MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA: Forest Whitaker, "The Last King of Scotland"
MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA: Helen Mirren, "The Queen"
MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA: Alan Arkin, "Little Miss Sunshine"
MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA: Jennifer Hudson, "Dreamgirls"
MIGLIORE FILM IN LINGUA NON INGLESE: Das Leben der Anderen, Germania
SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: William Monahan, "The Departed"
SCENEGGIATURA ORIGINALE: Michael Arndt, "Little Miss Sunshine"
FILM D'ANIMAZIONE: "Happy Feet"
SCENOGRAFIA: "Il labirinto del fauno"
FOTOGRAFIA: "Il labirinto del fauno"
MISSAGGIO SONORO: "Dreamgirls"
MONTAGGIO SONORO: "Lettere da Iwo Jima"
COLONNA SONORA: "Babel" Gustavo Santaolalla
CANZONE: "I Need to Wake Up" da "An Inconvenient Truth", Melissa Etheridge
COSTUMI: "Marie Antoinette", Milena Canonero
DOCUMENTARIO: "An Inconvenient Truth"
CORTOMETRAGGIO DOCUMENTARIO: "The Blood of Yingzhou District"
MONTAGGIO: "The Departed"
TRUCCO: "Il labirinto del fauno"
CORTOMETRAGGIO D'ANIMAZIONE: "The Danish Poet"
CORTOMETRAGGIO:"West Bank Story"
EFFETTI SPECIALI: "Pirati dei caraibi - La maledizione del forziere fantasma".
OSCAR ALLA CARRIERA Ennio Morricone
PREMIO UMANITARIO "JEAN HERSHOLT": Sherry Lansing Emc

Richard Dawkins e il dilemma del prigionero

Richard Dawkins e il dilemma del prigionero
Due criminali vengono accusati di aver compiuto una rapina. Gli investigatori li chiudono in due celle diverse impedendo loro di comunicare. A ognuno di loro vengono date due scelte: confessare l'accaduto, oppure non confessare. Viene inoltre spiegato loro che:
a) se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena; l'altro viene però condannato a 7 anni di carcere.
b) se entrambi confessano, vengono entrambi condannati a 6 anni.
c) se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a 1 anno.

Questo dillema viene utilizzato come esempio di cooperazione e non cooperazione. La confessione del prigionero sarebbe un tradimento e la non confessione sarebbe una cooperazione col compagno all’altra cella.

Nel seguente video, Richard Dawkins spiega un’esercizio nel quale si paragonano strategie di cooperazione diverse.



Ricordate:

1- Be Nice
2- Do Not Be Envious
3- Forgive
4- Be Clear

Cina - La politica estera di Pechino sottoposta a nuove sollecitazioni

Grazie alla modernizzazione economica ed al consolidarsi della sua politica di potenza nel continente asiatico, la Cina sta rafforzando il suo status nell'arena mondiale. L'aumento di potere avrà però i suoi costi

Dal 1971, da quando la Repubblica popolare ha sostituito Taiwan all’Onu, la Cina fa parte dell’esclusivo club dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Ma è solo da poco che Pechino fa capire di voler seriamente puntare allo status di superpotenza globale. Molti fattori che dovrebbero realizzare questo progetto appartengono, per ora, al regno delle ipotesi puramente speculative.


Una delle più fondate tra queste è che per i prossimi anni l’Impero di mezzo non rallenterà la dinamica della sua economia mentre i rapporti politici interni resteranno stabili. Di fronte alla volubilità della storia cinese, si può però dubitare del realismo di questo scenario. Incertezze che però non sembrano intaccare la crescente autostima dell’attuale leadership cinese e la sua azione internazionale a tutto campo.


Non si può comunque negare che, soprattutto negli ultimi due anni, il capo dello Stato e del partito comunista cinese Hu Jintao abbia dato prova di essere in grado di realizzare i suoi piani. Si spiega anche così la nuova attenzione cui gode l’attività di Hu nell’arena globale.

L'ossessione di Hu Jintao per l'Africa

Il presidente cinese sembra avere l’ossessione dei rapporti con l’Africa. Nella primavera dello scorso anno Hu Jintao aveva visitato Marocco, Nigeria e Kenya. A novembre 2006 a Pechino si è svolto un summit mastodontico che ha visto la partecipazione di 48 capi di Stato e di governo africani.

All’inizio di febbraio Hu ha compito una nuova serie di visite lampo attraverso il continente nero che ha trovato i suoi punti di forza nei soggiorni in Sudan e Sudafrica. Prima di Hu anche Mao, che però non ha mai messo piede in Africa - accompagnato nella sua strategia dal globe-trotter Chou En-lai - aveva puntato sull’amicizia tra i popoli cinesi e quelli del continente nero.

L’Africa aveva un posto speciale nella lotta contro l’imperialismo, prima occidentale e poi sovietico. Anche se in Africa squadre di specialisti cinesi costruivano strade ferrate ed infrastrutture, le priorità cinesi erano per l’esportazione della rivoluzione mondiale. Per la lotta delle capanne contro i palazzi.

La diplomazia cinese attuale non ha nulla in comune con la lotta di classe mondiale del maoismo. Al posto della rivoluzione proletaria mondiale, la politica estera di Pechino oggi predica l’armonia internazionale facendo uso delle stesse parole d’ordine confuciane richiamate anche per mettere ordine nella politica interna cinese.

Test di maturità politica

Al di là di questa retorica, la pragmatica leadership cinese nei suoi viaggi internazionali è molto attenta agli interessi economici di Pechino e all’influenza geopolitica del proprio paese.

La Cina ritiene che l’Africa, negli ultimi decenni continente trascurato sia dalle cancellerie occidentali che dalla diplomazia della federazione russa, possa diventare il nuovo, preferito, terreno per una politica estera sostenuta da mezzi monetari enormi. La crescita spettacolare dell’economia cinese ha impellenti bisogni energetiche e di materie prime, e il continente africano con le sue gigantesche riserve naturali sembra essere una destinazione quasi naturale per gli sforzi della crescita cinese.

Per sottolineare le intenzioni pacifiche della sua attività Pechino si richiama spesso al grande ammiraglio cinese Zheng He che agli inizi del XV secolo solcava le rotte dell’Oceano indiano. È stato infatti in Malawi che il ministro inglese per l’energia Hilary Blair, mentre Hu Jintao si trovava in visita in Sudafrica, aveva accusato la “diplomazia del dollaro” cinese in Africa di dare impulso ai regimi corrotti e dittatoriali dell’Africa.


Ma le accuse arrivano anche da altre parti, soprattutto la Banca mondiale e diversi governi dell’Europa occidentale criticano duramente l’avanza cinese in Africa. A Pechino si rimprovera di sostenere regimi, come quello del Sudan o dello Zimbawe, guidati da politici criminali. La Cina a sua volta ribatte di non immischiarsi mai negli affari interni dei paesi con cui tratta, curandosi solo delle relazioni commerciali.

In realtà il comportamento europeo a Pechino deve apparire alquanto ipocrita. Per la Cina il colonialismo europeo proprio in Africa ha commesso i più grandi genocidi e le maggiori deportazioni della storia dell’umanità, mentre Pechino non punta a decimare le risorse del continente nero e non ha intenzione di ridurre in schiavitù la popolazione del continente nero.

Pechino fa anche notare che Londra e Parigi quando si è trattato di far eleggere i propri candidati nei diversi paesi africani, hanno mai messo in primo piano valori democratici e norme dello Stato di diritto.

Interessi contrastanti

Le critiche e i timori degli Stati occidentali per l’avanzata cinese in Africa come pure le reazioni di Pechino, non sono altro che dei fenomeni marginali delle trasformazioni globali causate dalla crescita cinese a potenza economica e politica mondiale. In realtà la politica estera dell’impero di mezzo si trova davanti a sfide molto più complesse. Sullo sfondo ci sono da risolvere le grandi questioni dell’economia globale, delle trasformazioni climatiche e della sicurezza internazionale.

La Cina ha tratto grande beneficio dagli ultimi 25 anni di commercio mondiale, soprattutto per quanto riguarda i mercati finanziari globali e i trasferimenti internazionali di tecnologie. Senza questi contesti, dovuti essenzialmente all’azione degli Stati industriali occidentali, non si sarebbe mai parlato della rinascita economica cinese. Oggi però è arrivato il momento in cui anche Pechino è chiamata a dare il suo contributo al funzionamento dell’economia globale.

Ovviamente non è possibile fare nemmeno dei paragoni tra l’attuale disponibilità cinese alla cooperazione e la politica ostruzionistica dei precedenti governi di Pechino. Bisogna però dire che l’impero di mezzo dovrà assumere un ruolo maggiormente attivo in settori chiave dell’economia globale come la liberalizzazione del commercio e la protezione transfrontaliera dei diritti d’autore.

Nella ultime settimane un nuovo test per la dirigenza cinese è stato rappresentato dalla sfida ecologia legata ai cambiamenti climatici. Si tratta di un compito immenso. Da un lato Pechino ricorda al mondo che i maggiori peccati ecologici sono commessi dagli Stati industriali, soprattutto Usa ed Europa occidentale.

D’altra parte non si può negare che la Cina stia rapidamente scalando la classifica mondiale dei paesi che inquinano di più. Tutta la sfida climatica, ma anche i problemi ecologici cinesi, rendono inevitabile che a breve Pechino dovrà farsi carico delle serie implicazioni ecologiche legate al suo processo economico di modernizzazione. Per farlo il paese avrà bisogno di bilanciare i propri interessi con quelli della comunità mondiale, e ciò richiederà una eccezionale sensibilità politica.

Una sfida particolare è rappresentata dalla sicurezza internazionale. È innegabile che nell’attuale stadio del suo sviluppo socio economico, l’interesse primario cinese è quello di avere un ordine mondiale stabile.

Oggi più che mai Pechino dipende da un mercato finanziario internazionale in grado di funzionare senza ostacoli, da un florido commercio globale e da sicurezza di approvvigionamento delle fonti energetiche e delle materie prime. In caso di turbolenze mondiali, la Cina sa che da sola non riuscirà a tenere aperti gli stretti di Hormuz e la rotta marittima di Malacca, ma dipenderà dall’unica potenza in grado di farlo mantenendo l’ordine globale, gli Usa.

Del resto se la Cina ha bisogno di stabilità mondiale, le sue esigenze energetiche la portano a fare causa comune con regimi che invece puntano a destabilizzare l’ordine internazionale. Basti pensare all’Iran o al Sudan, i cui interessi politici divergono fondamentalmente da quelli della Cina, ma da cui Pechino dipende per i propri rifornimenti energetici.

Infine la politica estera di Pechino è di fronte ad un’altra una fondamentale contraddizione. Lo sviluppo economico cinese è avvenuto in un arco di tempo caratterizzato da condizioni mondiali economicamente favorevoli. Anche la pericolosa crisi asiatica degli anni 1997/98, non ha danneggiato in maniera sensibile lo sviluppo di Pechino.

È altrettanto vero però che da allora l’interdipendenza economica della Cina è aumentata. Ciò significa che dovrà aumentare anche l’affidabilità internazionale di una leadership politica che, giustamente, non vuole abbandonare il processo di modernizzazione dell’economia cinese. Più cresce la vulnerabilità del miracolo economico cinese, maggiori sono le possibilità per tutte le forze che vedono come il fumo negli occhi il miracolo economico cinese.

Il riconoscimento di queste vulnerabilità, particolarmente in una ipotetica fase di difficoltà economiche, dovrebbe portare acqua al mulino di tutte le forze che si sono sempre schierate per l’apertura e la modernizzazione dell’economia cinese. Per sapere quali saranno le risposte a questi bisognerà probabilmente aspettare il XVII congresso del Partito comunista cinese del prossimo autunno.

Pubblicato su QuadrantEuropa.it