Il filorusso Yanukovich contro Yuschenko: "Il Parlamento non si scoglie"
Viktor contro Viktor. Così si è svegliata ieri l’Ucraina. Due anni e mezzo dopo il grande scontro, vinto dall’attuale capo di stato Yuschenko, a Kiev si consuma un altro braccio di ferro con l’allora sfidante presidenziale Yanukovich, oggi primo ministro.
La «misura estrema», ovvero il decreto presidenziale con cui Yuschenko ha sciolto la Rada, il Parlamento, indicendo nuove elezioni il 27 maggio, rischia di innescare la peggior crisi politica dalla Rivoluzione Arancione. Il passo, «incostituzionale» per la Rada, ha messo in subbuglio la diplomazia europea e ha già riversato nelle strade almeno 5mila manifestanti. I fedeli all’esecutivo hanno circondato il Parlamento, gli adepti della «pasionaria» Yulia Timoshenko l’edificio della commissione elettorale.
Dopo il silenzio dei media - che hanno costretto Yuschenko a creare il «Bollettino ufficiale» per mettere in vigore il decreto - è arrivato quello dei parlamentari. La Rada ha infatti posto il veto sui finanziamenti per il voto, ha congelato la commissione elettorale e ha investito la Corte costituzionale del caso. La sentenza dei giudici arriverà entro 5 giorni.
Di fatto la crisi riflette un paese diviso tra le forze filoccidentali, fedeli a Yuschenko, e quelle filorusse, dalla parte di Yanukovich. Una skizofrenia istituzionale che ha congelato la politica per mesi. Intanto perché Yuschenko controlla i ministri della Difesa e degli Esteri, mentre Yanukovich quello degli Interni. E poi perché rispecchia la composizione del paese, nella lingua e nel pensiero ancora diviso tra l’Est, filorusso, e l’Ovest, ucraino. Ben 8 milioni, su una popolazione di 47 milioni, si sentono russi e, a proposito, la Crimea si è già schierata con Yanukovich. Va poi considerato che le liti in casa arancione hanno fatto vincere le elezioni legislative del 2006 al Partito delle Regioni di Yanukovich. Il tutto, grazie anche al salto della quaglia in cambio della poltrona di presidente della Rada del socialista Moroz. A spaccare il muro contro muro è stato il recente trasformismo di 11 deputati arancioni finiti nelle file della maggioranza. Consuetudine governativa che ha riavvicinato Yuschenko e la Timoshenko, secondo gli analisti la vera regista della crisi con mire governative.
Dal fronte russo Sergei Lavrov, capo della diplomazia non ha dubbi: «L’ultima parola spetta all’Ucraina, ma se Kiev chiederà una collaborazione, la Russia sarà pronta». L’Unione Europea, «preoccupata», ha chiesto che «prevalga il senso di responsabilità», la Commissione ha invece sottolineato «l’importanza della stabilità politica per le riforme sostenuto finanziariamente da Bruxelles».
Al termine di un lungo incontro avvenuto ieri tra i «due Viktor», il premier ha minacciato una procedura di impeachment. Yuschenko si è limitato a ribadire le sue posizioni. L’ultimo pensiero è stato per i manifestanti: «l’uso della forza sarebbe inammissibile».
Dopo il silenzio dei media - che hanno costretto Yuschenko a creare il «Bollettino ufficiale» per mettere in vigore il decreto - è arrivato quello dei parlamentari. La Rada ha infatti posto il veto sui finanziamenti per il voto, ha congelato la commissione elettorale e ha investito la Corte costituzionale del caso. La sentenza dei giudici arriverà entro 5 giorni.
Di fatto la crisi riflette un paese diviso tra le forze filoccidentali, fedeli a Yuschenko, e quelle filorusse, dalla parte di Yanukovich. Una skizofrenia istituzionale che ha congelato la politica per mesi. Intanto perché Yuschenko controlla i ministri della Difesa e degli Esteri, mentre Yanukovich quello degli Interni. E poi perché rispecchia la composizione del paese, nella lingua e nel pensiero ancora diviso tra l’Est, filorusso, e l’Ovest, ucraino. Ben 8 milioni, su una popolazione di 47 milioni, si sentono russi e, a proposito, la Crimea si è già schierata con Yanukovich. Va poi considerato che le liti in casa arancione hanno fatto vincere le elezioni legislative del 2006 al Partito delle Regioni di Yanukovich. Il tutto, grazie anche al salto della quaglia in cambio della poltrona di presidente della Rada del socialista Moroz. A spaccare il muro contro muro è stato il recente trasformismo di 11 deputati arancioni finiti nelle file della maggioranza. Consuetudine governativa che ha riavvicinato Yuschenko e la Timoshenko, secondo gli analisti la vera regista della crisi con mire governative.
Dal fronte russo Sergei Lavrov, capo della diplomazia non ha dubbi: «L’ultima parola spetta all’Ucraina, ma se Kiev chiederà una collaborazione, la Russia sarà pronta». L’Unione Europea, «preoccupata», ha chiesto che «prevalga il senso di responsabilità», la Commissione ha invece sottolineato «l’importanza della stabilità politica per le riforme sostenuto finanziariamente da Bruxelles».
Al termine di un lungo incontro avvenuto ieri tra i «due Viktor», il premier ha minacciato una procedura di impeachment. Yuschenko si è limitato a ribadire le sue posizioni. L’ultimo pensiero è stato per i manifestanti: «l’uso della forza sarebbe inammissibile».
Fonte: La Stampa.it
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