La tua vita online a portata di Google
Vuoi recuperare un articolo che hai letto su Internet, ma non ricordi dove e quando? Adesso c’è un nuovo servizio di Google che ti viene in aiuto. Si chiama Web History ed è l’evoluzione diretta del vecchio Search History, uno strumento che ti permetteva di analizzare tutte le tue ricerche effettuate sul motore di ricerca. Web History fa qualcosa di più: tiene in memoria tutti i siti visitati durante le tue navigazioni e ti aiuta a organizzarli, recuperarli, analizzarli.
Per accedere al servizio sono necessari tre requisiti. Primo, bisogna avere un account Google (quello di GMail va benissimo). Secondo, si deve scaricare la Google Toolbar, la barra di pulsanti che si lega al browser e si apre ogni volta che accedi a Internet. Terzo, si deve essere d’accordo nel concedere all’azienda americana un’altra bella fetta della propria vita online.
Semplice e geniale, come praticamente tutto ciò che è uscito negli ultimi cinque anni dal quartier generale di Mountain View, Web History solleva infatti alcune perplessità relative alla presenza sempre più invasiva di Google nella vita quotidiana dei cittadini del Web. Il primo grande colosso industriale dell’era di Internet ormai sa tutto di noi. Nei suoi server sono archiviate tonnellate di informazioni provenienti dai suoi svariati servizi: le email di GMail, ma anche i dati del motore di ricerca, di Blogger, di Google Talk, di AdSense. Con Web History, la mappatura della nostra identità online diventa ancora più precisa e minuziosa.
E’ vero che nessuno è obbligato a usufruire del servizio. Anche chi ha già scaricato la Google Toolbar può decidere in qualsiasi momento di attivare o disattivare la tracciatura di Web History. Ed è anche vero che in fondo alla privacy ormai stiamo rinunciando volontariamente giorno per giorno. Un pezzetto se ne va quando descriviamo la nostra vita su blog e forum. Un altro quando pubblichiamo le foto delle vacanze su Flickr o i video del matrimonio su YouTube. Un altro quando utilizziamo servizi online per condividere la musica che stiamo ascoltando (Last.fm), i libri che stiamo leggendo (LibraryThing), i blog che ci piace consultare (Bloglines). E si tratta di concessioni che facciamo ben volentieri.
Ma con Google c’è un elemento di dubbio in più, quello che suona come un campanello d'allarme per molti commentatori e attivisti digitali: il rapporto con la pubblicità. Tra Mountain View e gli inserzionisti esistono liaisons sempre più strette e pericolose. Le pubblicità di AdSense sono la gallina dalle uova d’oro di Google e appena una settimana fa l’azienda ha annunciato l’imminente acquisizione (per oltre tre miliardi di dollari) di DoubleClick, storica società di banner e servizi promozionali assortiti. E agli inserzionisti pubblicitari non possono che fare gola le informazioni sulle nostre abitudini raccolte tramite la Web History.
Per statuto, Google è nata con intenti benefici. “We don’t make evil” è il suo slogan più famoso, ben evidente sul sito ufficiale. A proposito di Web History, la società si è premurata di confermare le sue attuali rigide linee guida: i dati degli utenti non verranno forniti a terzi, se non in forma aggregata o per rispondere a richieste delle autorità. Tuttavia, su Internet inizia a circolare una sottile inquietudine. Google è ancora vista con una generale benevolenza: i suoi servizi funzionano, sono in gran parte gratuiti e il suo approccio al mondo di Internet risulta tuttora più fresco e simpatico di quello di molti rivali. L’ombra di quei server nascosti nei bunker dell’azienda, pieni zeppi di informazioni personali e dati sensibili, sta diventando però sempre più lunga.
Fonte: La Stampa.it
Nessun commento:
Posta un commento