mercoledì 6 giugno 2007

Le Br sono vive ma il film su di loro non si può vedere

Sarà il tema o lo svolgimento? Un caso di grave rimozione politica o un problema di qualità cinematografica? Non si attenua la polemica attorno all'uscita di Guido che sfidò le Brigate rosse, il film che Giuseppe Ferrara, il più militante dei nostri registi, ha dedicato all'operaio comunista ucciso dalle Br all'alba del 24 gennaio 1979, a Genova, per aver denunciato un collega fiancheggiatore dei terroristi. Pronto da quasi un anno, proposto senza successo ai festival maggiori, dopo una serie di proiezioni d'assaggio il film sarà ufficialmente presentato domani sera in un cinema romano: cinque le sale affittate dal produttore Carmine De Benedittis, nella speranza che tra i duemila invitati ci sia anche Napolitano. Massimo Ghini, protagonista del film nei panni dell'operaio, commenta così: «Vorrei ricordare che Guido Rossa è medaglia d'oro al valore civile. Il presidente Pertini partecipò commosso ai suoi funerali, portando a Genova il dolore e lo sdegno dell'intera nazione».

Tuttavia Guido che sfidò le Brigate rosse continuerà ad essere invisibile, nonostante due interpellanze parlamentari, il severo richiamo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere, le pressioni della Cgil nei confronti della Rai e del Luce. Se ne riparlerà dopo ferragosto, quando il film uscirà in una cinquantina di copie, con una distribuzione fai-da-te. Ferrara spiega così il presunto boicottaggio: «C'è un'ostilità nei confronti del film perché l'ho diretto io. Sono nella lista nera della Rai da quasi vent'anni. Qualche tempo fa Agostino Saccà (responsabile della fiction, ndr) mi ha dato un appuntamento e neppure s'è presentato. È una vergogna che un film così non venga distribuito e sostenuto dagli enti di Stato».

Insomma, avete capito. Il fumantino autore, specializzato in segreti e misfatti italiani (dal sequestro Moro al caso Calvi), alza il tiro su «certe distrazioni istituzionali», parla di «un filo-brigatismo sotterraneo» che rimbalzerebbe anche sulle colonne di Repubblica, depreca «il protagonismo di quei brigatisti che vanno in tv a dire come hanno sparato bene», ammonisce sui rischi di una saldatura tra nuovi terroristi e vecchie Br. Non fosse abbastanza chiaro il suo pensiero, sui titoli di coda appare la seguente scritta: «Al terrorismo si devono 419 omicidi e un decisivo contributo allo spostamento a destra del Paese». Mah!
Prova a sdrammatizzare Ghini: «Conoscendo Ferrara, mi sarei meravigliato che quella scritta non ci fosse». L'attore romano, impegnato in una prova ardua anche sul piano della trasformazione fisica e verbale (purtroppo il trucco micragnoso non l'aiuta), reputa la sottolineatura «generica» e non risparmia qualche critica alla fattura del film. Ma ne difende l'ispirazione, ricordando «la fatica con la quale è stato fatto», e rivendica lo spessore speciale, umano e politico, dell'operaio ucciso dal piombo terrorista: «Un padre, un fratello maggiore, un amico per tanti all'Italsider». Detto ciò, Ghini non si fa illusioni sull'esito commerciale di Guido che sfidò le Brigate rosse: «Sarebbe stato meglio puntare subito su un passaggio tv, magari all'interno di una puntata speciale di Porta a porta o di qualcosa del genere».

Costato attorno a 2 milioni di euro (300mila vengono da De Benedittis, 900mila dall'Ilva spa, 780 dalla Rai che ha acquistato i diritti per lo sfruttamento tv e video), il film sfodera un cast di tutto rilievo con Anna Galiena nel ruolo della moglie Silvia, Gianmarco Tognazzi, Elvira Giannini e Mattia Sbragia nei panni dei brigatisti Riccardo Dura, Fulvia Miglietta e Mario Moretti. Purtroppo il tono risulta a tratti agiografico, il confronto interno alle Br non sempre verosimile, nonostante il contributo ai dialoghi di Alberto Franceschini. Ferrara ha un'idea precisa in testa: che i servizi segreti agevolarono il lavoro sporco delle Br con l'intenzione di ostacolare l'ascesa al governo del Pci berlingueriano. Certo il film, pure efficace a tratti, glissa sull'isolamento politico di cui restò vittima Rossa all'interno del Consiglio di fabbrica. Una solitudine che gli costò probabilmente la vita, come ammise lo stesso Lama ai suoi funerali.

Fonte: IlGiornale.it

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