Cesare Battisti in carcere a Rio
Arrestato mentra incontrava un'amica: gli aveva portato novemila euro da Parigi. Il leader dei «proletari armati» era latitante del 2004
Dopo due anni e mezzo, la fuga di Cesare Battisti è finita di nuovo, questa volta in Brasile, fra la gente che guardava il mare e il vento che scuoteva gli ombrelloni. E’ finita come quella di un banale turista, o come quella dei grandi criminali che si rifanno la vita fra queste lande lontane, esotiche e gaudenti. E’ finita senza rivoluzione, senza ideali, senza i proclami degli anni folli del terrorismo. Non ha detto: «Sono un prigioniero politico». Ha detto: «Guardate che vi state sbagliando». Un agente in borghese gli ha afferrato il braccio, mentre salutava la sua amica Lucie Genevieve, vicino a un chiosco, davanti alla spiaggia di Capocabana. Lei aveva i soldi per lui: 9 mila euro. Glieli aveva portati dalla Francia. Altri agenti gli puntavano le pistole contro, gridavano «Fermo, fermo». L’hanno fatto salire su una macchina. Lui è sembrato sorpreso, ha detto: «Ma che cosa volete? Chi siete?». Non l’ha ancora capito?, gli ha risposto uno e gli ha chiesto: «Lei è il signor Cesare Battisti?». Non aveva documenti. Hanno dovuto identificarlo qualche minuto dopo con le impronte digitali. Però, c’erano anche gli uomini della polizia francese e quelli dell’Antiterrorismo dell’Ucigos, con il direttore Carlo De Stefano: loro l’avevano già riconosciuto. E’ dall’estate che gli stavano dietro, da sette mesi che lo seguivano aspettando il momento giusto.
Non è la prima volta che succede, perché quella fra la Giustizia e il terrorista degli Anni di Piombo, condannato all’ergastolo per quattro omicidi mentre s’era nascosto in Messico, è una rincorsa tragica e angosciante, come quella dei romanzi noir che lui scriveva e vendeva in Francia, con qualche successo pure, e come quella del destino che ha segnato le sue vittime. Era stato arrestato nel ‘79, era evaso nell’81, era andato in Francia, poi in Messico e di nuovo in Francia, protetto dal teorema Mitterrand che impediva l’estradizione anche ai terroristi, se rinnegavano la lotta armata. Nel 2004 quell’ombrello era caduto ed era finito dentro, un mese in cella e due a piede libero, prima di scappare di nuovo. Battisti ha un volto che non induce alla simpatia, un sorriso che sforza invano e uno sguardo appeso, assieme a un fascicolo giudiziario che gronda tutto il sangue e la miseria e la follia di quegli anni: un macellaio e un gioielliere colpiti perché avevano reagito alle rapine, un maresciallo e un agente della Digos massacrati senza ragione. Lui s’è sempre dichiarato innocente: ha ammesso solo di aver fatto parte dei Proletari armati per il comunismo, ma di non aver mai sparato a nessuno, e di essere stato accusato ingiustamente da pentiti e dissociati in un processo sneza prove.
Dall’altra parte, il suo ergastolo ha superato i gradi di giudizio e l’ha raggiunto in contumacia. Da quando è sparito dalla Francia, nell’agosto 2004, Carlo De Stefano e i suoi uomini dell’Ucigos hanno cominciato a cercarlo senza sosta. Seguono gli amici, i parenti, controllano il «Comitato di sostegno» nato in sua difesa a Parigi. Poi, quest’estate l’informazione giusta: Battisti era in Brasile. Probabilmente, li avevi messi sulla pista buona uno dei membri del Comitato.
Dalla Francia trasmettono le informazioni alla polizia di Rio de Janeiro. Hanno soltanto il nome di battesimo di una donna che deve portargli i soldi. Gli inquirenti controllano le liste di volo degli aerei in arrivo a Rio, evidenziando le passeggere con il nome corrispondente. C’è voluto un mese. Da ottobre, intanto, come racconta De Stefano, «personale Ucigos si era recato sul posto e aveva iniziato un lavoro di indagine assiene all’antidroga italiana, che è di stanza lì, e alla polizia brasiliana». Alla fine, si sono convinti che la persona che arrivava era quella giusta. Si chiama Lucie Genevieve Oles.
Gli si sono messi alle costole. Lei ha raggiunto Battisti nella hall dell’hotel Ocean di Rio de Janeiro. Sono quasi le 8 del mattino, mezzogiorno in Italia. Gli ha parlato al telefono dalla reception. Lui gli ha dato un altro appuntamento, in un chiosco sulla spiaggia di Capocabana, di fronte all’albergo: ed è lì che i due sono stati fermati dagli agenti brasiliani. Lui l’hanno riconosciuto grazie alle impronte digitali. La donna è stata rilasciata.
Adesso comincia la battaglia per l’estradizione. L’ultima puntata di questa lunga rincorsa, 28 anni così, di fuga e di caccia, di polemiche e promesse, inseguendo la Giustizia, mentre dalla Francia piovono già accuse e filippiche, è racchiusa nelle parole di un portavoce del ministero degli Esteri brasiliano: «In linea di principio Cesare Battisti potrà essere estradato in Italia. Esiste un trattato tra Brasile e Italia siglato nel 1989 e entrato in vigore nel 1993».
Fonte: La Stampa.it
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