giovedì 3 maggio 2007

Israele: Olmert, nuove richieste di dimissioni

II governo israeliano è travolto da una delle crisi più profonde della storia del paese. II rapporto Winograd sulla seconda guerra libanese, reso pubblico pochi giorni fa, sta provocando un vero terremoto politico nella coalizione di Olmert e il primo ministro sembra avere le ore contate. Eppure, a Gerusalemme la crisi non è un fatto recente: è cominciata nel gennaio del 2006, quando Arik Sharon è stato colpito da un ictus da cui non si sarebbe più rimesso, e quando Hamas ha vinto le elezioni nell'Anp; si è ulteriormente aggravata questa estate, quando il primo ministro si è impegnato in una massiccia azione «senza avere alcun piano militare dettagliato» (così, almeno, sostiene il rapporto Winograd); forse, si potrebbe aggiungere, l'attuale crisi politica in Israele è anche in parte il risultato della crescente minaccia iraniana, minaccia davanti a cui Israele si sente relativamente abbandonata dalla comunità internazionale e persino dagli Stati Uniti, visto il fallimento della guerra in Iraq.

Dunque, ieri non è cominciata una crisi di governo. Semmai, si è avviato il processo conclusivo di una lunga fase di sfaldamento: processo che, se gestito nella maniera più appropriata, potrebbe anche per mettere allo Stato ebraico di uscire dalla stagnazione politica in cui si trova da più di un anno. II peso del rapporto Wmograd grava su tre persone: il premier Ehud Olmert (Kadima), il mini stro della Difesa unir Peretz (Labour) e il capo di Stato maggiore Dan Halutz (dimissionario dallo scorso gennaio). II dossier, ancora parziale, è molto chiaro: non si tratta affatto di una rec,riniinazione sui risultati insoddisfacenti della campagna libanese, bensì di un'approfondita ricerca sulle azioni e sulle responsabilità individuali. II premier è accusato di avere agito in fretta, «senza esaminare un piano militare dettagliato, e neppure richiederne uno all'esercito» (punto 12) e di avere presentato in maniera «ambigua» il suo piano al governo (punto 10).

Al ministro della Difesa si rimprovera (punto 13) non tanto di «non avere una sufficiente esperienza in materia militare», quanto di «avere preso importanti decisioni senza consultare gli esperti e l'apparato di sicurezza, nonostante le sue lacune». II capo di Stato maggiore è sotto accusa (punto 14) per avere monopolizzato il dialogo tra esercito e governo e di avere taciuto all'esecutivo il vivace dibattito che si stava svolgendo all'interno di Tsahal. Rimproveri molto specifici, insomma, da cui solo una delle figure principali della Grosse Koalition esce illesa: il ministro degli Esteri Tzipi Livni. Nessun riferimento, nel dossier Winograd, se non una raccomandazione, che sembra quasi un endorsement (punto 16): d'ora in poi, sarebbe buona cosa «il pieno coinvolgimento del ministero degli Esteri nelle decisioni sulla sicurezza». Se n'era lamentata la stessa Livni («non c'è stata alcuna cooperazione col premier durante il conflitto»), che ora, consapevole di essere il politico più popolare di Israele, chiede senza mezzi termini la testa di Olmert.

I toni del ministro degli Esteri sono stati chiari: «Il pubblico non ha fede nel go verno e dobbiamo recuperare la credibilità»; «Olmert deve dimettersi, ma sarebbe sbagliato andare al voto»; e ancora: «Sto pensando alla leadership di Kadima». Tradotto: voglio fare il primo ministro. Da tempo si vociferava che madame Livni volesse soffiare il posto a Olmert: un sondaggio pubblicato qualche settimana fa (e cioè prima del rapporto Winograd, che non ha fatto che acuire la situazione) dimostrava che è la figura politica più gradita al pubblico. Non solo: stando al sondaggio, in caso di elezioni anticipate, una Kadima guidata dalla Livni batterebbe con ampio margine il Likud di Netanyahu, che invece avrebbe gioco facile a battere il partito centrista nella formazione attuale.

Intanto, l'ufficio di Olmert fa sapere che il capo della Diplomazia probabilmente sarà estromessa dal governo a causa di queste dichiarazioni. Sarà, ma se Olmert obbligasse Tzipi Livni alle dimissioni, questo non farebbe che aggravare la sua situazione di primo ministro e, secondo alcune fonti interne a Kadima, potrebbe persino giovare alla popolarità del ministro degli Esteri. La ribellione interna a Kadima, del resto, è già cominciata: secondo Akiva Eldar, notista politico di Haaretz, circa la metà dei parlamentari kadimisti sarebbero pronti a passare dalla parte di Tzipi. Ieri Avigdor Yitzhaki, capogruppo alla Knesset del partito centrista, ha rassegnato le proprie dimissioni in polemica con Olmert.

Ytzhaki aveva lanciato al premier un ultimatum: o ti dimetti tu, o mi dimetto io. Olmert ha scelto di salvare il salvabile del suo premierato: finora, lo hanno difeso il vicepremier Shimon Peres e il ministro della Sicurezza Avi Dichter. Anche la Livni aveva lanciato un ultimatum analogo al premier, ma in serata ha fatto sapere di avere cambiato idea. Se riuscisse nel suo intento, sarebbe la seconda volta, nella storia dello Stato ebraico, che un ministro degli Esteri in gonnella diventerebbe primo ministro senza passare dalle urne. Golda Meir docet.

Fonte: TGCOM

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