lunedì 26 febbraio 2007

Cina - La politica estera di Pechino sottoposta a nuove sollecitazioni

Grazie alla modernizzazione economica ed al consolidarsi della sua politica di potenza nel continente asiatico, la Cina sta rafforzando il suo status nell'arena mondiale. L'aumento di potere avrà però i suoi costi

Dal 1971, da quando la Repubblica popolare ha sostituito Taiwan all’Onu, la Cina fa parte dell’esclusivo club dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Ma è solo da poco che Pechino fa capire di voler seriamente puntare allo status di superpotenza globale. Molti fattori che dovrebbero realizzare questo progetto appartengono, per ora, al regno delle ipotesi puramente speculative.


Una delle più fondate tra queste è che per i prossimi anni l’Impero di mezzo non rallenterà la dinamica della sua economia mentre i rapporti politici interni resteranno stabili. Di fronte alla volubilità della storia cinese, si può però dubitare del realismo di questo scenario. Incertezze che però non sembrano intaccare la crescente autostima dell’attuale leadership cinese e la sua azione internazionale a tutto campo.


Non si può comunque negare che, soprattutto negli ultimi due anni, il capo dello Stato e del partito comunista cinese Hu Jintao abbia dato prova di essere in grado di realizzare i suoi piani. Si spiega anche così la nuova attenzione cui gode l’attività di Hu nell’arena globale.

L'ossessione di Hu Jintao per l'Africa

Il presidente cinese sembra avere l’ossessione dei rapporti con l’Africa. Nella primavera dello scorso anno Hu Jintao aveva visitato Marocco, Nigeria e Kenya. A novembre 2006 a Pechino si è svolto un summit mastodontico che ha visto la partecipazione di 48 capi di Stato e di governo africani.

All’inizio di febbraio Hu ha compito una nuova serie di visite lampo attraverso il continente nero che ha trovato i suoi punti di forza nei soggiorni in Sudan e Sudafrica. Prima di Hu anche Mao, che però non ha mai messo piede in Africa - accompagnato nella sua strategia dal globe-trotter Chou En-lai - aveva puntato sull’amicizia tra i popoli cinesi e quelli del continente nero.

L’Africa aveva un posto speciale nella lotta contro l’imperialismo, prima occidentale e poi sovietico. Anche se in Africa squadre di specialisti cinesi costruivano strade ferrate ed infrastrutture, le priorità cinesi erano per l’esportazione della rivoluzione mondiale. Per la lotta delle capanne contro i palazzi.

La diplomazia cinese attuale non ha nulla in comune con la lotta di classe mondiale del maoismo. Al posto della rivoluzione proletaria mondiale, la politica estera di Pechino oggi predica l’armonia internazionale facendo uso delle stesse parole d’ordine confuciane richiamate anche per mettere ordine nella politica interna cinese.

Test di maturità politica

Al di là di questa retorica, la pragmatica leadership cinese nei suoi viaggi internazionali è molto attenta agli interessi economici di Pechino e all’influenza geopolitica del proprio paese.

La Cina ritiene che l’Africa, negli ultimi decenni continente trascurato sia dalle cancellerie occidentali che dalla diplomazia della federazione russa, possa diventare il nuovo, preferito, terreno per una politica estera sostenuta da mezzi monetari enormi. La crescita spettacolare dell’economia cinese ha impellenti bisogni energetiche e di materie prime, e il continente africano con le sue gigantesche riserve naturali sembra essere una destinazione quasi naturale per gli sforzi della crescita cinese.

Per sottolineare le intenzioni pacifiche della sua attività Pechino si richiama spesso al grande ammiraglio cinese Zheng He che agli inizi del XV secolo solcava le rotte dell’Oceano indiano. È stato infatti in Malawi che il ministro inglese per l’energia Hilary Blair, mentre Hu Jintao si trovava in visita in Sudafrica, aveva accusato la “diplomazia del dollaro” cinese in Africa di dare impulso ai regimi corrotti e dittatoriali dell’Africa.


Ma le accuse arrivano anche da altre parti, soprattutto la Banca mondiale e diversi governi dell’Europa occidentale criticano duramente l’avanza cinese in Africa. A Pechino si rimprovera di sostenere regimi, come quello del Sudan o dello Zimbawe, guidati da politici criminali. La Cina a sua volta ribatte di non immischiarsi mai negli affari interni dei paesi con cui tratta, curandosi solo delle relazioni commerciali.

In realtà il comportamento europeo a Pechino deve apparire alquanto ipocrita. Per la Cina il colonialismo europeo proprio in Africa ha commesso i più grandi genocidi e le maggiori deportazioni della storia dell’umanità, mentre Pechino non punta a decimare le risorse del continente nero e non ha intenzione di ridurre in schiavitù la popolazione del continente nero.

Pechino fa anche notare che Londra e Parigi quando si è trattato di far eleggere i propri candidati nei diversi paesi africani, hanno mai messo in primo piano valori democratici e norme dello Stato di diritto.

Interessi contrastanti

Le critiche e i timori degli Stati occidentali per l’avanzata cinese in Africa come pure le reazioni di Pechino, non sono altro che dei fenomeni marginali delle trasformazioni globali causate dalla crescita cinese a potenza economica e politica mondiale. In realtà la politica estera dell’impero di mezzo si trova davanti a sfide molto più complesse. Sullo sfondo ci sono da risolvere le grandi questioni dell’economia globale, delle trasformazioni climatiche e della sicurezza internazionale.

La Cina ha tratto grande beneficio dagli ultimi 25 anni di commercio mondiale, soprattutto per quanto riguarda i mercati finanziari globali e i trasferimenti internazionali di tecnologie. Senza questi contesti, dovuti essenzialmente all’azione degli Stati industriali occidentali, non si sarebbe mai parlato della rinascita economica cinese. Oggi però è arrivato il momento in cui anche Pechino è chiamata a dare il suo contributo al funzionamento dell’economia globale.

Ovviamente non è possibile fare nemmeno dei paragoni tra l’attuale disponibilità cinese alla cooperazione e la politica ostruzionistica dei precedenti governi di Pechino. Bisogna però dire che l’impero di mezzo dovrà assumere un ruolo maggiormente attivo in settori chiave dell’economia globale come la liberalizzazione del commercio e la protezione transfrontaliera dei diritti d’autore.

Nella ultime settimane un nuovo test per la dirigenza cinese è stato rappresentato dalla sfida ecologia legata ai cambiamenti climatici. Si tratta di un compito immenso. Da un lato Pechino ricorda al mondo che i maggiori peccati ecologici sono commessi dagli Stati industriali, soprattutto Usa ed Europa occidentale.

D’altra parte non si può negare che la Cina stia rapidamente scalando la classifica mondiale dei paesi che inquinano di più. Tutta la sfida climatica, ma anche i problemi ecologici cinesi, rendono inevitabile che a breve Pechino dovrà farsi carico delle serie implicazioni ecologiche legate al suo processo economico di modernizzazione. Per farlo il paese avrà bisogno di bilanciare i propri interessi con quelli della comunità mondiale, e ciò richiederà una eccezionale sensibilità politica.

Una sfida particolare è rappresentata dalla sicurezza internazionale. È innegabile che nell’attuale stadio del suo sviluppo socio economico, l’interesse primario cinese è quello di avere un ordine mondiale stabile.

Oggi più che mai Pechino dipende da un mercato finanziario internazionale in grado di funzionare senza ostacoli, da un florido commercio globale e da sicurezza di approvvigionamento delle fonti energetiche e delle materie prime. In caso di turbolenze mondiali, la Cina sa che da sola non riuscirà a tenere aperti gli stretti di Hormuz e la rotta marittima di Malacca, ma dipenderà dall’unica potenza in grado di farlo mantenendo l’ordine globale, gli Usa.

Del resto se la Cina ha bisogno di stabilità mondiale, le sue esigenze energetiche la portano a fare causa comune con regimi che invece puntano a destabilizzare l’ordine internazionale. Basti pensare all’Iran o al Sudan, i cui interessi politici divergono fondamentalmente da quelli della Cina, ma da cui Pechino dipende per i propri rifornimenti energetici.

Infine la politica estera di Pechino è di fronte ad un’altra una fondamentale contraddizione. Lo sviluppo economico cinese è avvenuto in un arco di tempo caratterizzato da condizioni mondiali economicamente favorevoli. Anche la pericolosa crisi asiatica degli anni 1997/98, non ha danneggiato in maniera sensibile lo sviluppo di Pechino.

È altrettanto vero però che da allora l’interdipendenza economica della Cina è aumentata. Ciò significa che dovrà aumentare anche l’affidabilità internazionale di una leadership politica che, giustamente, non vuole abbandonare il processo di modernizzazione dell’economia cinese. Più cresce la vulnerabilità del miracolo economico cinese, maggiori sono le possibilità per tutte le forze che vedono come il fumo negli occhi il miracolo economico cinese.

Il riconoscimento di queste vulnerabilità, particolarmente in una ipotetica fase di difficoltà economiche, dovrebbe portare acqua al mulino di tutte le forze che si sono sempre schierate per l’apertura e la modernizzazione dell’economia cinese. Per sapere quali saranno le risposte a questi bisognerà probabilmente aspettare il XVII congresso del Partito comunista cinese del prossimo autunno.

Pubblicato su QuadrantEuropa.it

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