Le 7 piaghe minacciate dal clima
Con le alterazioni ambientali cresce il rischio per la salute globale. Inquinamento, insetti, penuria d’acqua all’origine di gravi patologie. L’allarme dell’Oms
Le sette piaghe d’Egitto. Sembra evocarle, nell’incalzare delle fosche previsioni su quello che ci aspetta, il rapporto sugli effetti sanitari dei cambiamenti climatici elaborato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Europa, che chiama in causa, se non proprio ulcere e bibliche cavallette, nubi di malefici insetti vettori di malattie, aria inquinata, penuria d’acqua. Con tutti gli effetti sulla salute che si possono immaginare: allargamento dell’area di diffusione di malattie infettive trasmesse dalle zanzare: malaria, febbre gialla, encefalite virale, febbre rompiossa o dengue, che negli ultimi decenni ha avuto una drammatica espansione, e ora è endemica in più di 100 Paesi, dall’Africa alle Americhe, al Sud-Est asiatico. E, ancora, aumento di patologie (cardio-respiratorie) e decessi provocati da ondate di calore e da un’alta concentrazione d’ozono sulla superficie terrestre, in particolare nelle grandi aree urbane; propagazione di malattie da malnutrizione e infettive legate alla minore disponibilità d’acqua potabile per effetto della siccità, delle inondazioni e del sollevamento del livello del mare; aumento d’incidenti e morti derivanti da eventi climatici estremi - cioè alluvioni, tempeste di vento, siccità, ondate di calore.
Vittime d’una canicola infernale
Queste ultime, peraltro, hanno già fatto la loro prova generale nell’estate del 2003. I risultati di un accuratissimo studio, commissionato dall’Unione europea, hanno confermato, qualche giorno fa, che l’infernale canicola di quell’anno ha provocato 70 mila vittime «supplementari» per usare la neutra espressione dello studioso francese Jean-Marie Robine, direttore di ricerca dell’Istituto nazionale della salute e della ricerca medica (Inserì). Mettendo in fila e confrontando i tassi di mortalità, anno per anno, è emerso che la micidiale ondata di caldo di quell’estate ha provocato un numero di morti superiore alla media. Il Paese più colpito è stato il Lussemburgo, seguito dalla Spagna e, quindi, dalla Francia e dall’Italia, che hanno avuto rispettivamente un aumento dell’11.8 e dell’11.6 per cento. In questo luttuoso catalogo non compare l’Inghilterra, a conferma del fatto che le regioni d’Europa non saranno colpite tutte allo stesso modo. Alcune regioni del Nord, anzi, trarranno qualche beneficio dall’aumento delle temperature: cosa che comporterà una minore esposizione al freddo e quindi una maggiore produttività agricola e una riduzione dei rischi - particolarmente elevati tra gli anziani - d’affezioni dell’apparato respiratorio e sindromi influenzali.
Il conto dei nostri dissennati consumi
Riuscirà il campanello d’allarme sull’impatto sanitario dei cambiamenti climatici a far crescere, insieme alla coscienza ambientalista, anche quella sanitaria e ad impegnare le scienze mediche ad una maggiore attenzione all’intreccio tra biologia umana, ambiente e società nell’origine delle malattie? E riuscirà, ancora, ad elevare quello che il filosofo Hans Jonas ha chiamato il «principio di responsabilità», esteso nello spazio e nel tempo a comprendere l’intero pianeta e il tempo delle generazioni future? Perché saranno loro a conoscere, nei tempi previsti dagli esperti e che ora ci sembrano lontanissimi - 2080, 2100 - gli effetti delle trasformazioni negative dell’ambiente e le malattie antropogene che noi avremo preparato loro con i nostri dissennati e spensierati consumi. È tempo, dunque, che l’Occidente-Faraone si decida a cambiare passo se non vorrà assistere - con la contaminazione dell’aria e dell’acqua, del suolo e del sottosuolo - alla morte dei primogeniti.
Vittime d’una canicola infernale
Queste ultime, peraltro, hanno già fatto la loro prova generale nell’estate del 2003. I risultati di un accuratissimo studio, commissionato dall’Unione europea, hanno confermato, qualche giorno fa, che l’infernale canicola di quell’anno ha provocato 70 mila vittime «supplementari» per usare la neutra espressione dello studioso francese Jean-Marie Robine, direttore di ricerca dell’Istituto nazionale della salute e della ricerca medica (Inserì). Mettendo in fila e confrontando i tassi di mortalità, anno per anno, è emerso che la micidiale ondata di caldo di quell’estate ha provocato un numero di morti superiore alla media. Il Paese più colpito è stato il Lussemburgo, seguito dalla Spagna e, quindi, dalla Francia e dall’Italia, che hanno avuto rispettivamente un aumento dell’11.8 e dell’11.6 per cento. In questo luttuoso catalogo non compare l’Inghilterra, a conferma del fatto che le regioni d’Europa non saranno colpite tutte allo stesso modo. Alcune regioni del Nord, anzi, trarranno qualche beneficio dall’aumento delle temperature: cosa che comporterà una minore esposizione al freddo e quindi una maggiore produttività agricola e una riduzione dei rischi - particolarmente elevati tra gli anziani - d’affezioni dell’apparato respiratorio e sindromi influenzali.
Il conto dei nostri dissennati consumi
Riuscirà il campanello d’allarme sull’impatto sanitario dei cambiamenti climatici a far crescere, insieme alla coscienza ambientalista, anche quella sanitaria e ad impegnare le scienze mediche ad una maggiore attenzione all’intreccio tra biologia umana, ambiente e società nell’origine delle malattie? E riuscirà, ancora, ad elevare quello che il filosofo Hans Jonas ha chiamato il «principio di responsabilità», esteso nello spazio e nel tempo a comprendere l’intero pianeta e il tempo delle generazioni future? Perché saranno loro a conoscere, nei tempi previsti dagli esperti e che ora ci sembrano lontanissimi - 2080, 2100 - gli effetti delle trasformazioni negative dell’ambiente e le malattie antropogene che noi avremo preparato loro con i nostri dissennati e spensierati consumi. È tempo, dunque, che l’Occidente-Faraone si decida a cambiare passo se non vorrà assistere - con la contaminazione dell’aria e dell’acqua, del suolo e del sottosuolo - alla morte dei primogeniti.
Fonte: La Stampa.it
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