Emergency lascia l'Afghanistan Kabul: «Ci pensiamo noi»
Emergency ha deciso di sospendere la sua attività in Afghanistan fintanto che non ci saranno novità o chiarimenti sul caso di Rahmatullah Hanefi, il collaboratore di Gino Strada detenuto da oltre un mese nelle carceri afghane con l’accusa di aver collaborato con i talebani nell’ambito del sequestro di Daniele Mastrogiacomo.
La Ong ha annunciato giovedì che gli ultimi volontari internazionali sono partiti da Kabul, e che gli ospedali sono stati chiusi in attesa di novità sul caso. Vauro, il vignettista che da oltre un anno si occupa della comunicazione di Emergency, ha spiegato che non si tratta di una «misura ricattatoria» nei confronti del governo di Hamid Karzai, ma della conseguenza delle sue dichiarazioni, «che hanno messo in forte crisi le condizioni di sicurezza per poter continuare a operare in Afghanistan».
Immediata la reazione del governo di Kabul, che ha deciso di subentrare a Emergency nella gestione delle sue tre strutture ospedaliere (quella di Lashkargah, nel sud del Paese, quella del Panshir e quella della capitale Kabul). Il portavoce del ministro della Sanità afghano, Abdullah Fahim, ha infatti annunciato che il governo Karzai intende provvedere all’amministrazione degli ospedali e pagare i loro 1.200 dipendenti fra medici, infermieri e personale di altro tipo. Fahim sostiene inoltre che la Ong avrebbe dovuto aspettare la conclusione dell’inchiesta su Hanefi, prima di lasciare il Paese. Il governo di Kabul sostiene anche di aver chiesto a Emergency di fare marcia indietro sulla sua decisione: «Chiediamo a Emergency di cambiare idea e di restare qui», ha dichiarato il portavoce del ministero degli esteri afghano, Sultan Ahmad Tahen.
Secondo il ministero della Sanità, «gli ospedali di Emergency in Afghanistan continuano la loro attività». Ma un medico afghano dell'ospedale di Lashkargah non conferma la sua versione, spiegando che 200 sui 235 dipendenti della struttura ospedaliera hanno smesso di lavorare, e che attualmente è rimasto nell'ospedale solo il personale addetto alla manutenzione di base e alla pulizia. «Uno dei medici italiani è arrivato a Lashkargah e ha incontrato lo staff afghano, e alla fine della riunione ha chiuso l'ospedale» ha riferito il dottor Mohammad Arshad Sharifi, che al momento dirige la struttura. «Abbiamo solo un paziente rimasto, e sarà dimesso presto», ha spiegato.
All’origine della «sofferta decisione» di Emergency ci sarebbero, secondo Vauro, le dichiarazioni del capo dei servizi di sicurezza di Kabul, Amrullah Saleh, sulla presunta collusione della Ong di Gino Strada con Al Qaeda. Dichiarazioni raccolte da Karzai per «ostacolare Emergency» e che «hanno messo a repentaglio la vita di medici, infermieri e operatori sanitari che lavorano ventiquattro ore su ventiquattro solo al servizio del popolo afghano».
Ma tra le regioni del gesto ci sarebbero anche «nuove minacce» rivolte dalla polizia locale all’Organizzazione. Secondo un altro portavoce, infatti, «mercoledì 25 aprile funzionari di polizia afghani si sono presentati all’ospedale di Kabul intimando allo staff internazionale presente, tre cittadini italiani, un belga e un cittadino elvetico, di consegnare i passaporti», consegna che è stata tuttavia rifiutata. Da ciò la constatazione dell’«impossibilità di permanenza del personale internazionale», che renderebbe gli ospedali «non in grado di offrire servizi qualitativamente adeguati alle necessità dei pazienti», poiché «non possiamo assumerci la responsabilità di ingannare feriti e malati con illusioni che determinerebbero danni».
Una responsabilità del governo afghano, dunque, ma anche di quello italiano, che, secondo Vauro, «non ha difeso una propria Ong nei modi e nelle forme più appropriate», e che «non ha difeso un suo rappresentante dall’essere arrestato, o meglio sequestrato, poiché nei confronti di Hanefi non è ancora stato formalizzato nessun capo di accusa e nell’intera vicenda non c’è la minima ombra di legalità».
In un comunicato di martedì scorso, in seguito alla notizia, non ancora confermata, che il mediatore rischierebbe addirittura una condanna a morte, Emergency aveva definito «sconcertante» la possibilità di un tale procedimento attuato senza alcuna accusa formale e senza l’assistenza di un legale, e, ancora più sconcertante, il «vedere questa eventualità presentata come una rassegnata constatazione». Per la Ong non avrebbe alcun valore l’argomento, addotto da esponenti del governo italiano, secondo cui non sarebbe possibile intervenire in questo caso, trattandosi di un cittadino afghano detenuto dalle autorità del suo Paese, poiché «erano cittadini afghani detenuti dalle autorità del loro Paese anche cinque prigionieri dei quali il governo italiano si è molto attivamente e insistentemente interessato tra il 16 e il 18 marzo, ottenendone la liberazione».
Fonet: L'Unità
Nessun commento:
Posta un commento